Picconata la Trattativa| Due verità inconciliabili

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14 Gennaio 2020, 19:07

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PALERMO – Due verità che fanno a pugni. Per i giudici della Corte di assise che hanno condannato Mario Mori e gli altri imputati della Trattativa, Calogero Mannino fu colui che avviò il patto scellerato fra i boss e pezzi delle istituzioni. Non aveva rispettato gli accordi con la mafia che voleva ammazzarlo, nel momento in cui le condanne del maxi processo divennero definitive.

Per i giudici di appello, che hanno confermato l’assoluzione dell’ex ministro democristiano, al contrario Mannino ha rischiato di essere ammazzato per il suo impegno antimafia.

Sono due verità inconciliabili. Se l’assoluzione di Mannino dovesse passare l’ultimo vaglio della Cassazione la ricostruzione della Trattativa, così come i pm l’hanno presentata, riceverebbe una picconata definitiva. Perché nella motivazione dei giudici di appello non viene soltanto, e non sarebbe poco, smentito il ruolo di Mannino, ma è l’intera ricostruzione sulla Trattativa che non regge.

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Altro che accordo segreto, i giudici la definiscono un’operazione info-investigativa che doveva servire per stanare i latitanti e di cui tutti, dai carabinieri ai politici, erano a conoscenza. E lo sapeva pure Paolo Borsellino. La corte d’assise scrisse che tra i motivi della morte del giudice in via D’Amelio c’era proprio la sua avversione alla trattativa avviata dai carabinieri con la mafia tramite l’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino. La Corte d’appello ora sostiene il contrario.

Secondo i giudici Borsellino sapeva del dialogo avviato dai carabinieri del Ros perché erano stati gli stessi ufficiali a comunicarglielo: “Quando il giudice (Borsellino ndr) ne era stato informato dalla dottoressa Ferraro non ne era rimasto affatto stupito, né contrariato – sostiene la corte d’Appello – rispondendo alla dirigente degli Affari Penali del Ministero che andava bene e che se ne sarebbe occupato lui. Se, dunque, si trattava di iniziativa discussa dagli alti ufficiali del Ros col giudice o, comunque, prossima all’asseverazione di Borsellino che già ne aveva preso atto, senza stupirsene, a fine giugno 1992 parlando con la Ferraro, l’ipotesi che l’operato di Mori e De Donno celasse l’istigazione del Mannino per avere salva la vita, diventa una remota illazione, priva di qualsivoglia giustificazione logica, in tale ricostruito contesto”.

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14 Gennaio 2020, 19:07

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