31 Agosto 2014, 11:11
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Un crash tutto siciliano ha fatto notizia nei giorni scorsi: il server utilizzato per la piattaforma informatica del Piano Giovani della Regione Siciliana non era adeguato al carico contemporaneo di oltre 90.000 accessi (Live Sicilia, 6 Agosto 2014), e, pertanto, il portale regionale è andato in tilt.
Occorre peraltro ricordare che, sebbene vi sia stato, nel gennaio 2014, un accordo per l’upgrade tecnologico dell’Isola, che prevedeva l’incremento della copertura sia fissa che mobile per ridurre finalmente il “digital divide” (Il Sole 24 Ore, 9 Gennaio 2014), con lo stanziamento di 50 milioni di euro, tuttavia la Sicilia resta ancora al terzultimo posto nazionale per la diffusione della banda larga. Secondo i dati ISTAT, la nostra Isola si colloca tra le ultime cinque regioni con il più basso numero di famiglie connesse ad alta velocità (51,5%). E mentre il superamento del “divario digitale” da noi è rinviato al 2015, nel resto del mondo i giganti dell’informatica si fronteggiano su temi scottanti.
Secondo il Wall Street Journal, la Commissione Federale delle Comunicazioni degli Stati Uniti (FCC, ovvero l’authority per le comunicazioni) starebbe per cambiare le regole della Rete in maniera sostanziale, offrendo un accesso privilegiato alle aziende in cambio di denaro. Si prospetta quindi Internet a due velocità per alcuni servizi, contro tutti i principi su cui è basata la rete, primo tra tutti la sua neutralità, difesa persino da Barack Obama. E se Internet non sarà più neutrale, lo scenario diventa inquietante.
La Federal Communications Commission, agli inizi di Maggio 2014, ha dato l’avvio a un periodo di consultazioni di 4 mesi sul progetto di legge che potrebbe trasformare l’utilizzo della rete Internet in un sistema a due velocità, permettendo ai grandi gruppi che gestiscono le telecomunicazioni di offrire ai loro clienti la possibilità di avere una banda più larga e la priorità sulla rete, grazie al pagamento di un abbonamento più costoso. In buona sostanza, consentirà ai big del Web di offrire ai clienti favoriti più banda e la priorità sulla rete. Nel corso di questi mesi l’FCC valuterà le proposte e i suggerimenti per poi arrivare al voto finale prima del varo della legge.
La decisione non è stata unanime. I tre membri democratici della FCC hanno votato a favore mentre i due membri repubblicani si sono pronunciati contro. La proposta di legge da tempo sta attirando le critiche di attivisti della rete e anche degli stessi colossi hi-tech, che hanno segnalato come sia in corso una grave minaccia a internet, in quanto la posta in gioco è la neutralità, ovvero il principio in forza del quale Internet è priva di restrizioni arbitrarie sui dispositivi connessi e su come operano. Il risultato potrebbe essere una rete da cui transitino tanti servizi importanti con qualità diverse, con quella migliore riservata ai ricchi. Con buona pace della “democratizzazione della rete”.
La questione sottoposta alla FCC è nata dalle pretese dei giganti delle telecomunicazioni, come Comcast, Verizon, AT&T e TimeWarner, che sono anche i gestori della tv via cavo e degli accessi Internet, da tempo avanzate all’authority per avere il diritto a far pagare di più i propri “maxiutenti”: Google, con la sua filiale YouTube, Netflix, la Walt Disney, Microsoft con Skype, Apple con iTunes, che controllano la distribuzione dei contenuti di informazione, comunicazione, spettacolo e musica.
Le multinazionali delle telecomunicazioni sostengono che gli utenti che “occupano” una parte consistente della banda larga, che deve smaltire ad alta velocità un grosso volume di traffico, dovrebbero pagare di più. E tale richiesta è stata recepita dal vertice della FCC, che ha deciso di definire nuove regole, che, in seguito, potrebbero essere, con “effetto a cascata”, valide non solo per gli USA ma per tutti gli utenti della rete. Le organizzazioni americane di difesa dei consumatori hanno contestato la decisione della FCC e denunciato che si verrebbe a configurare una “discriminazione commerciale” a favore dei soggetti più forti, perché le multinazionali avranno Internet più veloce e, per di più, pagata sempre dagli utenti della rete, sui quali verrebbe scaricato il sovrapprezzo. Ne usciranno penalizzati anche i piccoli operatori, singoli o aziende locali e nuove, che, non potendosi permettere di viaggiare sulla più cara corsia veloce, saranno confinati su quella lenta.
Fino a questo momento il principio della “neutralità” della rete ha stabilito che tutti i provider di Internet devono offrire i contenuti in maniera egualitaria, e cioè alla stessa velocità, permettendo un accesso paritario a fornitori, aziende e utenti. Le nuove regole che la FCC sta elaborando contemplerebbero, invece, la creazione di una rete superveloce riservata a privilegiati. Solo le grandi aziende e imprese potrebbero sfruttarla, pagando una quota di denaro (variabile e per ora imprecisata) che andrebbe agli operatori telefonici. In questo modo, servizi e contenuti di multinazionali e grandi imprese sfruttarebbero una connessione più veloce a scapito di start-up e aziende minori. Questo, oltre a creare un solco nel campo della ricerca tecnologica a sfavore delle aziende più piccole, potrebbe essere il primo passo di una pericolosa limitazione di accesso a notizie, idee, messaggi politici, ristretti solo a un certo tipo di utenti. La libertà di espressione, insieme alla libera circolazione di idee, potrebbero dunque essere messe seriamente a rischio da interessi monopolistici.
Un passo indietro. Ancora nel 2010, la FCC aveva sottolineato l’importanza della neutralità della rete, contro ogni discriminazione nel traffico Internet, pur non escludendo accordi tra provider e fornitori per alcuni servizi speciali, come sulla sicurezza online. Nel gennaio scorso, però, dopo un ricorso di Verizon, una Corte d’appello del District of Columbia ha ricusato le regole imposte dall’authority, che di fatto impediscono che vi siano due regimi tariffari diversi a seconda delle velocità di Internet, anche se questa sentenza sembra contraddire l’ideologia egualitaria legata al digitale sin dai suoi esordi, che sottende all’idea di fondo che Internet sia il livellatore destinato ad abbattere, mediante l’accesso alla conoscenza, le disuguaglianze.
Ora, viene messo in crisi il principio stesso dell’essere tutti uguali quando ci colleghiamo online. Una novità di tale portata non sarà, tuttavia, visibile, anzi sarà tenuta nascosta all’utente medio. Non si parla, difatti, di tariffe diverse per chi vuole accesso alla banda larga, a una connessione Internet più veloce e potente, differenziazioni peraltro già esistenti grazie al ruolo sempre più dominante degli smartphone come strumento di accesso alla rete, ma di un vero e proprio scontro tra titani, che lascia le masse ai margini del contenzioso fra i colossi che alimentano la rete di contenuti e quelli sul fronte opposto, deputati a distribuirli. Federico Rampini, in un reportage per “La Repubblica” ripreso anche da Micromega, descrive con un esempio efficace come si configurerebbe l’ “internet dei ricchi” divenuta rete a due velocità che vedrebbe da una parte i colossi mediatici, con un accesso esclusivo alle “autostrade” più veloci del web, dall’altra gli utenti comuni. «Immaginate un’autostrada con la corsia di sorpasso riservata ai soli proprietari di Mercedes e Bmw. Perché nel prezzo d’acquisto delle loro auto è incluso quel privilegio. Oppure, forse peggio ancora, la corsia veloce riservata a un paio di società multinazionali che gestiscono flotte di Tir, e hanno comprato quel diritto a farli circolare molto più in fretta di voi». E tutto questo, avverte Rampini, potrebbe accadere per la più importante di tutte le autostrade, Internet, da cui transitano ormai quasi tutti i servizi essenziali.
Sembra una contesa tra i big del capitalismo americano: la posta in gioco, in apparenza, è solo una redistribuzione di guadagni fra di loro. Ma non la pensa affatto così un paladino degli utenti online, Todd O’Boyle, che dirige la Common Cause’s Media and Democracy Reform Initiative. Secondo O’Boyle, «agli americani fu promesso fin dalle origini un Internet senza caselli né pedaggi autostradali, senza corsie preferenziali, senza censure statali o private; se passano queste nuove regole la promessa sarà tradita». Dello stesso parere è anche un altro difensore dei consumatori, Michael Weinberg, dell’associazione Public Knowledge: «Si va verso una discriminazione commerciale, l’opposto della neutralità di Internet che si fonda sulla non-discriminazione».
Come verrebbero colpiti i consumatori? Rampini spiega che qualora prevalesse la lobby delle telecom, colossi come Google o Amazon, alla fine, caricherebbero il sovrapprezzo sull’utente finale. Si prospettano poi conseguenze dannose più subdole: «È ovvio che in cambio della tariffa superiore, i big dell’economia digitale avranno diritto a un servizio migliore. …Non ci accorgeremo, quando navighiamo in Rete, che alcuni giganti del commercio online o “aggregatori d’informazione” arrivano a noi molto più velocemente coi loro contenuti. Crederemo di andare su Internet in cerca di qualcosa, in realtà sarà “qualcosa” a trovare noi molto a scapito di altri contenuti forse migliori e più utili».
E, a proposito di pluralismo della rete, se fosse esistito un Internet a due velocità fin dalle origini, Microsoft avrebbe potuto quindi impedire l’emergere di rivali come Apple? Una delle forze della Silicon Valley è stata la “distruzione creatrice” che sconvolge periodicamente le gerarchie di potere, che ha visto talentuosi ventenni creare nuove aziende e sfidare i giganti già esistenti. Scardinato un principio che sembrava sacro, quello della net neutrality, in una Rete a due velocità vinceranno sempre gli stessi?
Uno scontro simile si sta riproducendo in Europa. L’inglese Vodafone e la tedesca Deutsche Telekom vogliono far pagare a Google e Netflix una tariffa superiore per l’uso intenso delle infrastrutture, inondate di video-streaming. Argomentando capziosamente che, in mancanza di adeguamenti tariffari, non avrebbero incentivi a investire per modernizzare la Rete, facendo perdere terreno all’Europa rispetto agli USA e all’Asia.
Sembra poi che, nei fatti, corsie preferenziali sarebbero già in atto: gli operatori di telefonia e Internet favoriscono più o meno occultamente l’accesso alle proprie consociate e filiali. A questo punto, svelare l’esistenza di corsie veloci, renderebbe più trasparente e regolata una situazione di fatto già esistente? Finora la Commissione UE e l’Europarlamento hanno scelto di difendere la neutralità di Internet, ma cosa ci riserva il futuro? Anche Internet diventerà diseguale, omologandosi a ogni altro aspetto della società contemporanea? I quesiti sono molti e rilevanti.
In America lo scontro è aperto, e con evidente preoccupazione ci si comincia a chiedere se non sia la fine della prima fase di Internet. Quella che ricorderemo come l’era della “neutralità digitale”.
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31 Agosto 2014, 11:11