30 Maggio 2019, 13:34
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Ci saremmo aspettati qualcosa. Una presa di posizione, una dichiarazione. Tra una nota su qualche costone rinforzato in provincia e un comunicato su una splendida fiera di cavalli, ci saremmo aspettati, in passato, che il governatore dicesse la sua. Sul governo, la politica, la sua maggioranza. Niente, o quasi. Fino a ieri. Quando l’Assemblea regionale gli rifilava l’ennesimo sfregio. Infilando in una legge che non c’entrava nulla l’annullamento delle elezioni per le ex Province fissate per fine giugno.
E che si trattasse di una operazione compiuta in contrapposizione col presidente della Regione, lo dice la cronaca. Quella che racconta dell’intervento in Aula, ieri, della deputata di Diventerà Bellissima, Giusy Savarino che dal pulpito ha voluto precisare: “Parlo a nome del gruppo del presidente della Regione”. I deputati hanno risposto: “Sì, va bene”. E poi hanno votato come pareva a loro. Cioè contro la volontà del presidente della Regione.
E così, dopo esserci esaltati per l’approvazione (vivaddio) di una riforma, quella sulla semplificazione amministrativa, si è tornati all’andazzo di sempre. A un governo e a un governatore che sbattono contro i muri assai solidi di Palazzo dei Normanni. Era successo anche in passato, diverse volte. Chi si ricorda dell’avvertimento lanciato – anche tramite video – alla “partitocrazia” dell’Ars, sul caso della (mancata poi) liquidazione dell’Esa?
Il problema, però, per Musumeci inizia a diventare serio. Ha a che vedere con l’immagine stessa del suo esecutivo, altro che problemi di comunicazione. E l’impressione è che i tentativi di risolverlo saranno peggiori del male. Il governo non governa nulla a Sala d’Ercole? Ci penserà il rimpasto. A quel punto, saremmo in piena “media-Crocetta”. E le sovrapposizioni, al netto del diverso “stile comunicativo”, inizieranno a diventare troppe.
A partire proprio da quelle Province. Distrutte, alla canna del gas a causa della sciagurata riforma voluta dal governatore gelese e appoggiata dal Movimento cinque stelle. Il nuovo corso avrebbe dovuto imprimere una direzione nuova. Lo ha fatto, ma nel modo sbagliato. Finendo per imboccare la stessa trazzera: quella dei commissariamenti infiniti. Se si rispetterà il limite fissato dall’emendamento di ieri firmato da un bel pezzo di centrodestra, si arriverà alla clamorosa cifra di sette anni. Sette anni di commissariamento di un ente che, secondo lo stesso governatore, avrebbe dovuto recitare un ruolo da protagonista nella nuova mappa delle istituzioni siciliane. E invece, nel 2020, si arriverà a quella cifra. E due anni e mezzo, di quei sette, saranno imputabili tutti al governatore in carica e a questa maggioranza di governo. Un governo che prima ha voluto spendersi nella causa – persa, stando alle condizioni di allora – del ritorno della elezioni diretta. E che poi ha finito per soccombere di fronte ai partiti che nel frattempo avevano concordato quell’annullamento. Lo ha messo nero su bianco Cateno De Luca, a capo della Città metropolitana di Messina: “L’annullamento delle elezioni era una clausola del Patto della Madonnina”. Un patto sottoscritto con Gianfranco Micciché e gli uomini di Sicilia Futura.
Perché il presidente non spiega almeno questo? È possibile che le decisioni sull’assetto istituzionale dell’Isola siano delegate a patti tra forze politiche in campagna elettorale? Perché, viste le conseguenze, non regge più la separazione comoda tra l’attività di governo e quella legislativa. Un esercizio puramente retorico, che si traduce, però, nel fallimento anche amministrativo: entro un mese, infatti, il governo dovrà rinnovare o rinominare i commissari per un altro anno. Bel risultato.
Sulle Province, così, si ricalca il modello Crocetta. Nel 2020 saremo già a metà legislatura. Avremo superato la simbolica boa, con gli enti ancora commissariati: dal 2013. Un fatto non solo formale, ma anche sostanziale. Le ex Province entrano nel gioco di altri enti regionali, in quello per la governance degli aeroporti. Tutto racchiuso in un pugno: quello dell’esecutivo. Come accadeva nella scorsa legislatura.
Il rimedio? Sembra essere un nuovo partito e un bel rimpasto. Sul primo, sarà meglio discuterne in altra sede. Sul secondo, c’è da preoccuparsi. Dopo le sostituzioni già compiute (Figuccia, Sgarbi, Ippolito), le nuove porteranno il numero complessivo degli assessori di Musumeci assai vicino a quello degli assessori cambiati da Crocetta nello stesso periodo. Con tutto quello che significa: cambio degli uffici di gabinetto, nuove linee dell’assessore, nuovi dirigenti generali. Un nuovo stop, per un governo che non sta certamente correndo. E che si prepara ad accogliere in giunta anche uomini che l’altroieri erano con Renzi e con Crocetta.
Cercando di far passare – ma sarà difficile – l’idea che con Crocetta era trasformismo, e con Musumeci si tratterà di un operoso ravvedimento. Sarà la solita storia dei cambi di casacca, invece. Che finiranno per “incrinare” la coerenza politica tanto difesa dal governatore e porteranno poco o nulla all’Ars. Se è vero, come dice il presidente Musumeci, che oggi non esiste una maggioranza numerica, si suppone che i deputati siano almeno uno in meno del numero necessario. Il passaggio di Sicilia Futura (sono in due, entrambi sposeranno la causa?) o l’eventuale ritorno nel centrodestra della deputata Pd Luisa Lantieri, trasformerebbero una maggioranza che non c’è in una maggioranzina risicata di uno o due deputati. Ne vale la pena?
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30 Maggio 2019, 13:34