Province, una farsa senza fine | Ora l’Ars vuole tornare al passato

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12 Gennaio 2017, 05:20

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PALERMO – La riforma che non è mai nata è già morta. Manca un passo, solo l’ultimo, per sprofondare nel ridicolo. L’Ars si prepara a gettare nel cestino l’epocale legge di revisione, anzi di cancellazione, delle Province voluta dal governo Crocetta. Una riforma che si è tradotta, finora, solo in disastri e in quattro anni di commissariamenti selvaggi.

C’era, forse, finora un’unica “medaglia” che il governatore poteva rivendicare, dopo un fallimento durato tanti mesi: quella di avere, quantomeno, risparmiato nel presente e per il futuro, sui costi destinati alle indennità di presidenti e consiglieri provinciali. Ma il parlamento presto deciderà di rivedere anche questo. Una maggioranza schiacciante, trasversale, alla quale sembra non aderire, oggi, solo il Movimento cinque stelle, vuole nuovamente le elezioni dirette. Vuole che la gente torni alle vecchie Province. Quelle che, secondo il governatore, erano state “cancellate”, primi in Italia, già tre anni e mezzo fa. Ma che invece sono sempre rimaste lì, celate sotto la nuova identità di “Liberi consorzi”, in condizioni drammatiche dal punto di vista finanziario, incapaci di intervenire su strade e scuole e con un futuro incerto calato sulle spalle dei lavoratori dell’ente.

E così, il bluff alla fine verrà svelato del tutto. Si torna all’antico. Si torna al voto popolare e agli enti così come sono sempre stati. “La pre-condizione per tornare all’elezione diretta – spiega infatti il presidente della Commissione affari istituzionali all’Ars, Salvatore Cascio – è quello di attribuire alle Province le funzioni necessarie per il loro corretto funzionamento”. Insomma, funzioni inizialmente tolte, distribuite ad altri enti e che potrebbero tornare a quello d’origine. Come se nulla fosse successo. E’ già pronto, sebbene non ancora formalmente depositato, un disegno di legge.

Una ipotesi che ovviamente il presidente Crocetta vorrebbe scongiurare. Il ritorno all’elezione diretta sarebbe infatti la certificazione di uno dei più clamorosi fallimenti legislativi della recente storia della Sicilia. E così, al governatore non è rimasto che aggrapparsi alla riforma Delrio che la Regione, dopo aver lavorato a tre-quattro disegni di legge propri, si è limitata ad applicare: “La legge parla chiaro – ha detto il presidente della Regione – in fase di prima applicazione l’elezione è di secondo grado”.

Una ricostruzione che non convince le opposizioni: “Non c’è alcun vincolo disposto dalla legge nazionale – ha detto ad esempio il deputato di Forza Italia Vincenzo Figuccia – per impedire in Sicilia l’elezione diretta dei presidenti dei Liberi consorzi e dei sindaci metropolitani, nonché dei consiglieri di questi enti. Crocetta poteva risparmiarsi questa uscita sulla legge Delrio perché appare davvero fuori luogo. La potestà normativa – ha aggiunto Figuccia – in materia elettorale in Sicilia è esclusiva, il presidente della regione dovrebbe saperlo”.

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Il vero dato politico, però, è che al di là delle forze di opposizione, sembra ormai che l’intero parlamento si sia convinto a tornare al passato, se si esclude, come detto, il gruppo dei grillini. Apertamente a favore dell’elezione diretta si è espresso, ad esempio, l’intergruppo Sicilia Futura-Psi che ha letto nello schiacciante “no” al referendum costituzionale anche un “no” anche all’abolizione delle Province. Un fatto, la posizione di questo integruppo che ha anche un risvolto politico interessante: tra i socialisti, infatti, trovano oggi spazio quasi tutti gli ex appartenenti al Megafono di Crocetta. Insomma, gli ex fedelissimi del governatore sono pronti a respingere la riforma-simbolo del presidente.

Ma non solo. Anche il Partito democratico, lo stesso partito che rivendicò, esultando, l’abolizione delle Province pochi anni fa, si è espresso per il ritorno al passato in maniera palese. Lo ha fatto addirittura in Aula, due giorni fa, il vicepresidente del gruppo parlamentare, Giovanni Panepinto: “L’impianto – ha detto – è stato complessivamente in gran parte demolito, non solo dal referendum. Ritengo che vada affrontata subito una discussione che comprenda senza tabù la possibilità dell’elezione diretta del Presidente e di un Consiglio con numeri molto ridotti, sempre la logica della spending review, per cui credo che il dibattito, va iniziato subito. Non si può prescindere dal fatto che il Governo, così come il Parlamento debbano confrontarsi immediatamente e che non possiamo indire le elezioni per poi rinviarle, rischiamo quel poco che ci resta di credibilità all’esterno, anche di perderla”.

Del resto, dopo un lungo periodo di “follie” amministrative e legislative, la realtà sembra aver superato ogni paradosso. E in effetti questa “riformona” che oggi rischia di ridursi in una esilarante fiction durata quattro anni, è nata praticamente in tv. Nel programma Rai “L’Arena” condotto da Massimo Giletti. Lì, per la prima volta pubblicamente Crocetta annunciò l’abolizione delle Province. Erano i primi mesi del 2013 e il presidente viaggiava col vento in poppa: “Siamo i primi in Italia”.

Da allora cosa è successo? Una serie infinita di strafalcioni ed errori che hanno condotto a rivedere il disegno di legge più volte; la sostituzione di quattro-cinque assessori alla Funzione pubblica; l’alternarsi di qualcosa come quaranta (!) commissari “straordinari” scelti molto spesso tra i fedelissimi del presidente; una marea di proroghe e proroghe delle proroghe in vista del rinnovo degli organismi degli enti; ore, ore e ore passate a Sala d’Ercole per discutere, emendare e affondare l’epocale riforma; e ancora, un paio di impugnative di Roma che hanno smontato la legge regionale e persino la grottesca decisione, dopo tre anni di annunci, di recepire “interamente” in Sicilia una legge nazionale, la “Delrio”, che il governo Crocetta si era guardato bene, ostinatamente, dal recepire. Nel frattempo gli enti si trasformavano in un contenitore vuoto, capace solo di assicurare gli stipendi ai dipendenti, e del tutto incapace di svolgere le vecchie funzioni tra cui la tutela delle strade provinciali ridotte in pessime condizioni anche perché alcuni enti sono giunti a un passo dal dissesto economico, costringendo persino qualche commissario a dimettersi di fronte al disastro. Soldi e tempo sprecati, tra Sala d’Ercole e Palazzo d’Orleans. Tutto inutile. L’Ars, compresi i partiti che sostengono ufficialmente Crocetta, vuole dare un colpo di spugna alla riforma lanciata dalle telecamere di Rai Uno. Quella riforma annunciata quattro anni fa e già morta. Senza essere mai nata.

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12 Gennaio 2017, 05:20

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