23 Giugno 2011, 15:48
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È possibile per un procuratore capo facente funzioni revocare un’inchiesta ai pm che ne sono titolari per una diversa interpretazione della giurisprudenza? I quattro pm titolari (sino a pochi giorni addietro) del filone dell’inchiesta Iblis che riguarda il presidente della Regione hanno presentato una memoria al procuratore capo Michelangelo Patanè nella quale si chiede la riassegnazione del procedimento contestando giuridicamente la revoca. Patanè ha pochi giorni per rispondere, e in caso di diniego dovrà inoltrare tutti gli atti al Csm.
Lo stesso Patanè sta riflettendo e non si esclude che riassegni il fascicolo ai titolari originari delle indagini. L’attuale fase è disciplinata dalle leggi vigenti. Entro i 10 giorni successivi al provvedimento di revoca, i pm possono esprimere le proprie osservazioni. E così è stato.
Chiedendo la riassegnazione del fascicolo, i quattro pm insistono sulla richiesta (che hanno già firmato) di rinvio a giudizio di Raffaele Lombardo, del fratello Angelo e dell’imprenditore Ferdinando Bonanno, tutti accusati di concorso in associazione mafiosa. In pratica i quattro pm sono pronti a sostenere in giudizio ogni accusa.
C’è infatti una divergenza di vedute. Il procuratore capo Michelangelo Patanè ha sempre sottolineato che il dibattito interno alla procura si è svolto esclusivamente sulla base di argomentazioni giuridiche. Il coordinatore della Dda di Catania, Carmelo Zuccaro, si era rifiutato di sottoscrivere la richiesta di rinvio a giudizio di Lombardo, rilevando che “gli elementi acquisiti sono dotati di valenza indiziaria, suscettibile di ulteriore sviluppo probatorio, idonea a sostenere in dibattimento l’ipotesi accusatoria che i predetti indagati avrebbero cercato il sostegno di noti esponenti di varie cosche mafiose per ottenere il sostegno elettorale. Nonostante i numerosi collaboratori di giustizia escussi, i servizi di intercettazione telefonica ed ambientale effettuati e le altre indagini esperite, non si ritiene invece che siano stati acquisiti elementi idonei a sostenere in dibattimento che i fratelli Lombardo abbiano concluso, con gli esponenti di tali sodalizi, in cambio del sostegno elettorale, un accordo dai contenuti specifici e concreti circa gli aiuti che essi avrebbero fornito alle predette consorterie criminali”. Secono il pm Zuccaro, mancherebbe “la dimostrazione di un accordo che per la sua serietà e concretezza possa ritenersi idoneo di per sé solo ad essere valutato come casualmente idoneo a rafforzare il sodalizio mafioso, secondo l’autorevole insegnamento della predetta pronuncia delle sezioni unite”.
I quattro pm di Iblis contestavano a Lombardo il cosiddetto “concorso morale” con Cosa Nostra. Questo, secondo il pm Carmelo Zuccaro, sarebbe in contrasto con l’altra contestazione, a carico dei Lombardo, di concorso esterno “materiale” in associazione mafiosa. “Il concorrente morale – scrive Zuccaro – deve rispondere dello stesso reato posto in essere dal soggetto il cui proposito criminoso egli ha contribuito a determinare o a rafforzare, sicché il concorrente morale dell’associato mafioso deve rispondere di partecipazione ad associazione mafiosa e non di concorso esterno”. In questo caso l’ipotetica contestazione dell’ipotesi di associazione mafiosa ai fratelli Lombardo dovrebbe affrontare “l’arduo problema di dimostrazione del fatto che, pur in mancanza di un accordo dai contenuti concreti, le promesse ricevute dal politico abbiano significativamente rafforzato il proposito degli associati di perseguire il loro programma associativo”. Concretamente, secondo Zuccaro, “sarebbe infatti necessario dimostrare che i partecipanti alla famiglia catanese dell’associazione denominata Cosa Nostra, che da tempi remoti persegue i propri illeciti obiettivi, abbiano ad un certo punto nutrito dei seri dubbi circa l’opportunità di continuare a partecipare all’associazione e che tali dubbi siano stati superati grazie agli accordi raggiunti con i fratelli Lombardo”.
I quattro pm sostenevano la necessità della richiesta di rinvio a giudizio anche dei fratelli Lombardo “sicché – scrivevano – appare assolutamente indispensabile che tali prove vengano unitariamente valutate dal giudice il quale, altrimenti, non potrebbe cogliere adeguatamente la rilevanza indiziaria di essi”.
Il pm Zuccaro non ha ritenuto sostenibile “l’ipotesi accusatoria così come formulata nei confronti dei fratelli Lombardo”. Zuccaro, però, non è un giudice dell’indagine preliminare, è un tecnico – di altissimo livello – che ha deciso di non firmare la richiesta di rinvio a giudizio già siglata da quattro colleghi. Su questo battono gli ex titolari dell’inchiesta: il procuratore capo Michelangelo Patanè, allo stato degli atti, poteva revocare l’inchiesta?
Patanè ha concluso il provvedimento di revoca sostenendo che sarebbe “doveroso un ulteriore esame degli atti processuali in relazione alla posizione dei fratelli Lombardo ed all’eventuale configurabilità di diverse qualificazioni giuridiche delle condotte agli stessi ascrivibili, ma che tale approfondimento è incompatibile con l’urgenza dell’esercizio dell’azione penale nei confronti degli altri indagati, molti dei quali detenuti”. In pratica le lungaggini su Raffaele Lombardo rischiavano di far decorrere i termini di custodia cautelare in carcere per i capi di Cosa nostra.
Per i fratelli Lombardo non è stata richiesta l’archiviazione. Al momento la richiesta di rinvio a giudizio è congelata e su Catania incombe la nomina del nuovo procuratore capo. Una variabile impazzita che potrebbe cambiare ancora la partita.
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23 Giugno 2011, 15:48