Quella frase in più di Musumeci | Il triplo errore del governatore - Live Sicilia

Quella frase in più di Musumeci | Il triplo errore del governatore

Il presidente augura a Sammartino attenzioni “di altri Palazzi”. Uno scivolone, per tanti motivi

Quella frase, quella frase in più cambia tutto. E trasforma una polemica d’Aula in uno scivolone. Uno scivolone triplo: politico, mediatico, istituzionale.

Il presidente della Regione Nello Musumeci, al culmine dello scontro dialettico col deputato Luca Sammartino ha augurato a quest’ultimo di diventare oggetto dell’interesse “di ben altri Palazzi”. E persino la formulazione della frase peggiora la sostanza. Nessuno, tra i corridoi di Palazzo dei Normanni, infatti, ha pensato a nulla di diverso rispetto ai palazzi in cui si amministra la giustizia. E che, nella loro piena e sacrosanta autonomia, vanno avanti e agiscono senza la necessità di essere chiamati in causa da rappresentanti di organismi politici. Sarà anche il caso del deputato Sammartino indagato mesi addietro per reati elettorali, così come per rappresentanti di maggioranza o di governo.

Insomma, quelle parole superano di gran lunga i confini dello scontro politico e finiscono sul terreno che riguarda la dignità delle persone e principi come la presunzione di innocenza che vale per tutti. Se, invece, le parole del governatore afferiscono ad altri ambiti, altri Palazzi, ecco che tutto appare ancora più fumoso, e inquietante e forse merita una spiegazione che faccia chiarezza, appunto, quando la polvere di Sala d’Ercole sarà calata.

Ma, si diceva, l’errore è innanzitutto politico. Perché la reazione furiosa del governatore ha avuto, come primo, immediato risultato, quello di fermare i lavori d’Aula. Cioè di frenare l’esame di una Finanziaria di emergenza in un momento di emergenza. Ha acceso animi che sembravano, al di là delle schermaglie fisiologiche, tutto sommato sereni. E adesso, senza un passaggio chiarificatore, la sua maggioranza rischia di trovare, al ritorno, una opposizione meno disponibile al confronto, meno dialogante. Tra l’altro, poco prima lo stesso governo era “caduto” e con voto palese, non col segreto. A conferma che il problema è e rimane politico, riguarda la maggioranza, i partiti che sostengono Musumeci. Alla fine, poi, l’emendamento di Sammartino è stato pure bocciato dall’Aula.

L’errore, poi, è mediatico, cioè riguardante l’immagine del presidente. Quella “sparata” è infatti lontana dallo standard di sobrietà a cui aveva abituato il governatore. A Palazzo dei Normanni, anche molti dei suoi deputati, quelli della maggioranza, facevano fatica a difendere, a giustificare, a comprendere l’uscita del presidente. E in questo senso, i toni usati da Musumeci stridono in maniera ancora più netta con le parole espresse, ad esempio, dal presidente dell’Ars Gianfranco Micciché che ha difeso le prerogative dell’Assemblea. Provando, oltre a interpretare in maniera appropriata il proprio ruolo di garante dell’Aula, anche a mettere una pezza con le opposizioni che infatti hanno gradito.

Ma nell’intervento di Micciché c’è il cuore della questione: il voto segreto. Ed eccolo, lo scivolone istituzionale. È, quello, un nervo scoperto del governatore. Che tempo fa si disse pronto a non tornare in Aula se quel tipo di votazione non fosse stata abolita dal parlamento. E forse è stata proprio quella promessa non mantenuta a far scattare sulla poltrona il governatore, alla richiesta di Sammartino. Promessa fortunatamente non mantenuta, aggiungiamo: perché in una fase come questa c’è bisogno del governatore in Aula, c’è bisogno che le istituzioni siciliane, i suoi vertici, diano un segnale di compattezza – per quanto possibile – e c’è bisogno di approvare questa benedetta Finanziaria per poi dedicarsi alle mille questioni che resteranno sul terreno dell’epidemia anche quando questa sarà meno violenta negli effetti.

Ma c’è un punto, ineludibile. Il voto segreto, piaccia o non piaccia, fa parte delle regole. E interessa ai siciliani molto meno del contenuto delle leggi. Alla gente non interessa che quella o quell’altra norma venga approvata col voto segreto, palese, nominale, elettronico. La gente si attende leggi buone, utili, che migliorino le condizioni individuali e collettive. Il resto è contorno. E pensare di andare via dall’Aula o di non ripresentarsi o di augurare non meglio precisate attenzioni a un deputato solo perché questi ha richiesto uno strumento presente nel regolamento dell’Ars è, a parere di chi scrive, un errore di concetto. È come se una importante squadra di calcio decidesse di non scendere in campo perché ancora vigente la regola del fuorigioco. E qui non si valuta la bontà o meno di questo strumento. Qui si valuta il principio, che è un principio di democrazia e con questo il governatore dovrebbe fare pace, per il bene di tutti: in questi casi è il parlamento – buono o cattivo che sia – a decidere. E non altri altri Palazzi.


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