10 Febbraio 2019, 05:55
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PALERMO- Non vieni allo stadio? Non ci sei mai stato, neanche un giorno, in questa tribolatissima stagione rosanero? Non sei un vero tifoso, scusa. Tutte le scelte sono legittime, ma è anche normale dirlo che i comportamenti sono riflessi e che il giudizio sincero è uno specchio, senza increspature, né accuse.
Tu, palermitano di qualunque età, di qualsiasi appartenenza, pure con la doppia tessera del calcio, con la residenza nel bilocale dell’amore per il Palermo e per uno squadrone di lassù, dovresti saperlo che il ‘Barbera’ vuoto, come da scatto in occasione della partita con il Foggia, è una frattura scomposta dei sentimenti. Ovunque, gli spalti che non custodiscono ombre somigliano a un’arancina senza riso, a una musica non più suonata, alla favola dove vince il lupo cattivo, mentre la nonna dai candidi capelli finisce in un ospizio-lager.
Più che una contraddizione: uno sfregio sulla guancia della gioia che, almeno una volta a settimana, ognuno di noi dovrebbe concedersi a dispetto delle tempeste.
Lo stadio è stato costruito per l’amore gridato. Nemmeno la più accurata diretta tv con l’inquadratura minuziosa all’interno delle cavità nasali del centravanti che ha appena fallito il rigore compenserà mai il primitivo slancio di chi soffre la partita dal vivo ed è egli stesso quella partita.
Tu lo sai, rinunciatario dei sogni, che, appunto, rinunciando, fai soprattutto del male a te stesso. E se accade a Palermo il male si raddoppia, perché, quaggiù, poche sono le occasioni per acchiappare al volo la coda della felicità, fosse un solo istante destinato a svanire.
I motivi della diserzione non mancano. Alcuni sono sacrosanti. Il campionato che era stato annunciato alla stregua di una marcia festosa e che rivela le sue crepe pallonare. La trama di un ancora indefinibile presente societario che si intreccia con un futuro di inquietudini e tremori, con appena qualche spiraglio. La fluttuazione tra l’abisso temuto e una fragile speranza regna sovrana. Mentre scriviamo non conosciamo il canovaccio del domani.
Non sai più con chi prendertela. E può capitare che le scarne ombre sugli spalti – è successo col Foggia – fischino i calciatori con la tenuta rosa. Un cortocircuito passionale come il litigio degli innamorati che si mandano a quel paese perché vogliono abbracciarsi un minuto dopo.
Però resta il segno crudele della ‘boffa’ sul cuore. E sono state assai opportune le parole di Giuseppe Bellusci che ha mostrato il suo sudore e le sue lacrime alla gente. Chi l’ha detto che un calciatore non possa frequentare lacrime e sudore come gli altri? Chi non vorrebbe abbracciare, uno per uno, i ragazzi che a Perugia hanno giocato alla morte e vinto, per la classifica e per la dignità?
Alla resa dei conti, tifoso sedentario o non tifoso che mai, quest’anno, hai varcato il glorioso ingresso di viale del Fante, conta di più ciò che vuoi essere adesso. Conta essere, esserci, perché tutti vedano che il vecchio cuore rosanero è generoso e non ha paura della paura. Conta il popolo: prima gli innamorati. Conta soltanto se vorrai indossare la sciarpetta, oppure se continuerai a scrutare da lontano, come il frequentatore non residente del battito cardiaco accelerato.
Si celebrerà il classico venerdì di passione, al culmine di tutte le passioni, contro il Brescia di Eugenio Corini, grande capitano e allenatore ovviamente incompreso a queste latitudini. Sui social gira il richiamo incruento alle armi: ‘riempiamo il Barbera’ per riscattare la solitudine recente. Si vince? Si perde? Non importa. Ne sarà valsa la pena.
Questo non è il Palermo di Zamparini, di Follieri, degli arabi, degli inglesi, degli americani, degli extraterrestri. Scriverlo non significa scordare quanto sia importante la realtà, con i suoi torti e le sue ragioni, ma dare a ciascuno ciò che è giusto. I sogni appartengono a chi li protegge perfino contro i peggiori presagi. Questo sarà, per sempre, nella buona e nella cattiva sorte, il nostro Palermo da amare.
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10 Febbraio 2019, 05:55