Al Nord per rapinare banche | “Se blocchi le porte ti ammazzo”

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13 Febbraio 2016, 06:01

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PALERMO – “Stai tranquilla, dove sono i piccioli?”, disse il rapinatore all’addetta allo sportello. Parole seguite da un più chiaro avvertimento: “Se blocchi le porte di ammazzo”. Nino Mustacciolo era stato convincente e si era fatto consegnare i soldi dall’impiegata della cassa di risparmio di Ghemme, in provincia di Novara.

Residente nel rione Zen, Mustacciolo è uno dei tre palermitani arrestati martedì scorso per due colpi messi a segno in trasferta (clicca qui per leggere il servizio). Nel secondo venne presa di mira l’agenzia di Valduggia, in provincia di Vercelli. In carcere sono finiti anche Domenico Urrata, di Ficarazzi, e Carmelo Sacco, 26 anni, residente nel rione Brancaccio. Si tratta del nipote di Nino Sacco, considerato un pezzo grosso della nuova mafia che detta legge nel feudo dei fratelli Graviano. Della banda avrebbe fatto parte anche il pugliese Cosimo Landolfa.

Un’indagine all’antica quella dei carabinieri di Vercelli, in collaborazione con il Comando provinciale di Palermo, culminata con il fermo dei tre a bordo della nave Genova-Palermo. Avevano addosso poco più di duemila euro ciascuno in banconote di vario taglio. Tra queste anche quelle trovate in tasca a Sacco e che provenivano dalla mazzetta “civetta” razziata in banca.

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Nel fascicolo dell’inchiesta erano finite le immagini della Fiat Stilo da cui erano scesi i rapinatori, riconosciuti dagli impiegati della banca. In tasca a Urrata c’era pure un telefono cellulare. Analizzando i tabulati si è scoperto che dal telefonino erano partiti alcuni squilli verso un’utenza nella disponibilità di Landolfa, nei giorni precedenti i colpi del 27 ottobre. Altri contatti erano stati registrati da qualcuno che da una cabina telefonica di Palermo aveva chiamato la compagna di Landolfa.

La chiave delle indagini è stato il ritrovamento di alcune impronte digitali lasciate sul bancone dell’istituto di credito e riconducibili a Mustacciolo. E così ha finito per avere una sua collocazione investigativa anche un episodio del settembre 2015. I carabinieri di Cossato, in Piemonte, avevano controllato Landolfa a bordo della Fiat Stilo, poi usata per la rapina. Si erano avvicinati alla macchina in borghese e uno di loro si era visto chiedere da Landolfa: “Sei tu quello che aspettavo, cerchi Mimmo?”. In quello stesso giorno, scrivono gli investigatori, il telefono di Urrata era stato localizzato nella stessa zona.

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13 Febbraio 2016, 06:01

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