Report, Ciancio perde la causa |Deve pagare 30mila euro

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27 Novembre 2012, 06:00

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Mario De Felice, quando era assessore alle Partecipate del Comune

CATANIA- La citazione civile milionaria di Mario Ciancio alla trasmissione Report di Rai 3 è stata respinta dal Tribunale di Roma. Con la stessa sentenza l’editore etneo è stato condannato al pagamento delle spese processuali: 30mila euro. La trasmissione, della quale sono autori Milena Gabanelli e Sigfrido Ranucci, che ha curato il servizio su Catania, è stata assistita in giudizio da Alessio La Pegna, civilista romano che ha seguito le numerose udienze degli ultimi 3 anni.

Secondo i legali di Ciancio, che avevano chiesto un risarcimento danni da 10milioni di euro, la trasmissione I Vicerè, andata in onda il 15 marzo del 2009, avrebbe avuto “un carattere ampiamente diffamatorio, in quanto basata su notizie false ed espresse al di fuori dei limiti della continenza espositiva che deve caratterizzare il libero esercizio del diritto di critica tipico del giornalismo d’inchiesta”.

Su queste basi, l’editore catanese chiedeva la rimozione della trasmissione dal sito internet di Report e la condanna al pagamento per ogni giorno di ritardo nella rimozione, ma anche la pubblicazione della sentenza “su numerose testate giornalistiche e i relativi siti internet, nonché su testate giornalistiche Rai radiofoniche e televisive”. Ciancio chiedeva anche la pubblicazione della condanna “almeno per un quinquennio” sui siti internet “di titolarità della Rai”.

Il giudice Damiana Colla, del Tribunale di Roma, ha ritenuto la domanda di Ciancio “non fondata”, sottolineando che “l’intera puntata è espressione, secondo il consueto taglio della trasmissione, del giornalismo d’inchiesta. I giornalisti -si legge nella sentenza- hanno inteso delineare, nel più ampio contesto delle vicende relative al dissesto del comune di Catania ed alle sue ragioni, rinvenute dai giornalisti anche nella consueta e rilevante commistione tra mafia, amministrazione locale, informazione ed imprenditoria in genere, la figura e la carriera professionale di Mario Ciancio, uno degli imprenditori catanesi i cui interessi e la cui attività imprenditoriale da decenni spaziano -nella complessa realtà di commistioni ed interferenze prima illustrata, dal settore dell’editoria e della radiotelevisione, a quello dell’edilizia, e ancora a quello della pubblicità e dei servizi.

Il giudice analizza tutto il servizio giornalistico, partendo dall’infiltrazione mafiosa nella festa di S.Agata, documentata attraverso le foto dei boss sul feretro della Patrona, a quella negli appalti del comune di Catania.

L’hotel S. Pietro

Non sussisterebbe alcuna diffamazione, nella ricostruzione delle vicende dell’hotel di lusso edificato da Ciancio a Taormina, con un nulla osta “emanato in extremis dall’assessorato all’Ambiente della Regione Sicilia nel 2002. L’atto -dicevano i giornalisti- è firmato da colui che oggi è diventato capo di gabinetto di Raffaele Lombardo”. Questo provvedimento -sottolinea il giudice- ha consentito “un non condivisibile, notevole ampliamento rispetto alla progettazione iniziale, peraltro in prossimità della campagna elettorale”.

E’ stato accertato anche il fatto che prima della trasmissione I Vicerè, il quotidiano La Repubblica non distribuiva l’edizione regionale a Catania, fatto confermato anche da Ciancio, che nell’atto di citazione spiegava che era possibile acquistare questo giornale “nell’edicola della stazione o in quella dell’aeroporto”.

“L’utilizzo dell’espressione monopolio -ritiene il giudice- appare riferito, criticamente, ad una situazione di fatto in cui la testata edita dall’attore, per varie ragioni, è la principale e più venduta nel catanese”.

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Confermato anche l’incasso di 350mila euro, in un solo anno, per pagare, attraverso i debiti fuori bilancio, le dirette televisive del consiglio comunale.

La campagna elettorale del 2005

Il Tribunale analizza le varianti che hanno consentito la trasformazione dei terreni di Ciancio da agricoli in edificabili, terreni sui quali è stato costruito il centro commerciale Icom consentendo un incasso di 28milioni di euro. A questo proposito vengono citate “le intercettazioni di un imprenditore messinese indagato per mafia, nelle quali è fatta menzione del Ciancio quale persona in possesso di terreni agricoli idonei alla costruzione di un centro commerciale”.

“Ancora una volta -evidenza il giudice- i fatti esposti da Report sono veri nel loro nucleo essenziale e accuratamente riscontrati dai giornalisti convenuti, pur se esposti con sottile ironia, evidente nell’espressione utilizzata “Forse è solo una coincidenza…”.

La sentenza ripercorre anche la registrazione delle dichiarazioni di Riccardo Riggi, portavoce del gruppo Acquamarcia, ex collaboratore de La Sicilia, che ha confermato di aver lavorato per Ciancio. Nella trasmissione, Riggi dichiarava che “Ciancio è l’uomo giusto a cui chiedere consiglio quanso si viene da queste parti…ho visto passare tutti dalla redazione di Ciancio: Fini, ho visto passare Casini, cioè ho visto passare tutto il mondo e andavano da lui in pellegrinaggio. E’ un uomo che ti può dare molti consigli utili: tipo questa cosa te la sblocca tizio…guarda, questa compete a quell’ufficio, a quella persona lì, tieni il numero, chiamalo…”.

E ancora, il giudice esamina anche la lettera del boss Vincenzo Santapaola che La Sicilia ha pubblicato dal 41bis senza l’autorizzazione dell’ufficio Gip catanese, il rifiuto del necrologio del commissario Beppe Montana, ammazzato dalla mafia e il furto nella villa di Ciancio.

Su queste basi il tribunale ha rigettato la richiesta di risarcimento danni di Mario Ciancio e lo ha condannato al pagamento delle spese processuali in favore di Report per 30mila euro.

 La reazione di Ciancio

 

 

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27 Novembre 2012, 06:00

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