Russia, l’inferno bianco: i 100 anni dell’ultimo reduce VIDEO - Live Sicilia

Russia, l’inferno bianco: i 100 anni dell’ultimo reduce VIDEO

Nel 2013 ha scritto un libro di memorie, in cui racconta i difficili momenti vissuti durante il secondo conflitto mondiale

Martedì 15 marzo per Riccardo Di Raimondo, soldato reduce dalla Seconda Guerra Mondiale che visse sulla sua pelle la battaglia che si concluse con la ritirata dalla Russia, è stato un compleanno speciale e tondo tondo poiché ha compiuto cento anni.

Nato in provincia di Savona (Cairo Montenotte) e trasferitosi dall’età di 8 anni con la famiglia a Palermo, dove vive, a 19 anni viene chiamato alle armi. Il 7 novembre del 1942 aggregato alla 67esima Compagnia “Genio” Divisione Pasubio, destinazione: fronte russo. La terribile esperienza di soldato in Russia, vissuta dal dicembre 1942 all’aprile 1943, lo segna profondamente al punto da definirla e ricordarla ancora oggi come “l’inferno bianco”; ovvero la ritirata dei soldati italiani dal fiume Don a Varsavia con oltre 1300 chilometri percorsi a meno quaranta gradi sotto zero e con immense sofferenze.

Nel 2013, spronato dalla nipote Liliana, mette nero su bianco la sua testimonianza e i suoi ricordi più vividi in un libro di memorie La ritirata di Russia – Dal fiume Don a Varsavia (1942-43) Memorie di un soldato italiano (BookSprint Edizioni), corredato da fotografie scattate da lui. Una storia che nessuno voleva sentire, nemmeno le autorità politiche, “Togliatti non voleva che si sapesse quello che avevamo passato. Della Campagna di Russia degli italiani se n’è parlato poco“.

Durante l’Operazione Barbarossa (questo il nome in codice dell’invasione dell’Unione Sovietica da parte della Germania e dei suoi alleati) conclusasi per l’Italia nell’aprile del 1943, su 270 mila uomini del corpo d’armata italiano, tra soldati e ufficiali, ne tornarono a casa soltanto 86 mila. E ancora oggi Di Raimondo non riesce a spiegarsi come sia riuscito a sopravvivere. Ripensa alle migliaia di chilometri percorsi nel ghiaccio, “forse – dice – perché ero molto giovane e avevo un fisico estremamente resistente, non mi è mai venuto un raffreddore. Avere la bronchite, l’influenza o la polmonite non era difficile. Eravamo a quaranta sottozero, senza indumenti adeguati, senza un riparo“. Gli scenari del grande freddo sovietico mostravano bufere, uomini stremati da temperature polari, sventrati, mutilati. Dall’assideramento salva anche quattro vite umane, tra cui quella del Caporale Dossena; riesce a strapparlo alla morte usando il calore del suo corpo e della vodka con cui gli friziona i piedi, oltre a coprirlo con diverse coperte, maglie e calze di lana. Dopo cinque lunghi ed estenuanti mesi di patimenti, il rientro in patria avvenne a Brennero il 15 aprile del 1943. 

Terminata la guerra, Riccardo Di Raimondo riprese gli studi interrotti e si diplomò perito tecnico. Lavorò per 40 anni in qualità di dirigente responsabile degli impianti all’Industria Chimica Arenella di Palermo. Terminata l’esperienza alla Chimica Arenella, venne chiamato come consulente tecnico a Sciacca, dalla Società Sciacca Mare di Abano Terme, per avviare gli alberghi della medesima società; lavorando fino all’età di 75 anni. Con la moglie Lidia ebbe tre figli, Angelo, Adriana ed Ernesta. Oggi vive a Cinisi con la figlia Adriana. E la sua testimonianza oggi oltre a essere un importantissimo patrimonio storico, alla luce della guerra in questi giorni in Ucraina, risulta essere come non mai ancora più preziosa.

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