Ristoranti e società in odor di mafia |Santapaola ed Ercolano a processo

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18 Gennaio 2016, 07:01

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CATANIA – E’ entrato nel vivo il dibattimento del processo scaturito dall’indagine che ha svelato un sistema di prestanome e intestazioni fittizie attorno al nome di Vincenzo Santapaola, figlio del capomafia Nitto, e dei fratelli Mario, Aldo e Salvatore Ercolano (figli di Sebastiano). Era il 16 ottobre 2012 quando la Squadra Mobile ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di esponenti di una delle principali famiglie mafiose della città. E finirono coinvolti anche sei prestanome, tra cui Vincenza Nauta, la moglie di Enzo Santapaola e Pierluigi Di Paola, 40 anni, sposato con la figlia di Sebastiano D’Emanuele, cognato di Salvatore Santapaola, fratello di Nitto. Nella prossima udienza – fissata per il 17 marzo – saranno ascoltati alcuni degli imputati oltre all’ultimo teste della Procura, rappresentata dal pm Rocco Liguori. Poi il processo continuerà con l’esame dei testi citati dai vari difensori.

Per l’accusa sono tre le società che sarebbero state controllate dalla famiglia Ercolano – Santapaola attraverso l’intestazione fittizia a prestanome. LaVecchia Catania di Di Paola Pierluigi” che si occupava del commercio di automobili attraverso il punto vendita “Pd Motors” di San Gregorio sarebbe riconducibile a Mario Ercolano, così come il ristorante Sticky Fingers di San Gregorio. Era finito nella lente d’ingrandimento della magistratura anche la “Siciliana Tappeti di Gangemi Giovanni”, l’impresa titolare all’epoca delle contestazioni dell’esercizio commerciale “Cash & Carry” di San Gregorio, riconducibile – secondo le ipotesi degli inquirenti-  ai fratelli Ercolano.

Sarebbe stato invece sotto il controllo di Enzo Santapaola, il capo di Cosa nostra catanese secondo molti collaboratori di giustizia come Fabrizio Nizza e Santo La Causa, il ristorante Sapori di Casa. Il Gip nel 2012 dispose il sequestro preventivo di tutte le attività coinvolte tranne lo Sticky Fingers.

L’apparato probatorio si compone di una serie di intercettazioni ambientali, telefoniche e anche in carcere che “proverebbero” come i rampolli della famiglia Santapaola -Ercolano controllavano la gestione di alcune imprese commerciali e della ristorazione. L’operazione Summit permette di decapitare il gotha di Cosa nostra, a quel punto restava libero, con la misura della sorveglianza speciale, Mario Ercolano che viene monitorato dagli inquirenti. E’ il novembre del 2009, esattamente un anno prima della maxi retata Iblis, quando la polizia documenta la presenza di Mario Ercolano nell’autosalone Pd Motors. E dalle intercettazioni emergerebbe che il manager occulto sarebbe proprio Mario Ercolano, che finisce in manette nel novembre del 2010. Per la Procura il suo posto viene preso dal fratello Aldo: un aspetto però non condiviso dal Gip in sede di ordinanza di custodia cautelare. Aldo Ercolano, però, fu molte volte “intercettato” alla cassa del Cash e Carry.

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Per una serie di controlli incrociati la polizia giudiziaria ascolta un’intercettazione all’interno di un’auto in cui viene proposto a Vincenzo Santapaola l’acquisto delle quote del ristorante “Sapori di Casa”. Il figlio del capomafia ad un certo punto manifesta anche le preoccupazioni sulle conseguenze del suo “pesante” cognome sulla clientela. E anche se il commercialista, in un primo momento, sembra sconsigliare l’affare ad un certo punto la transazione viene conclusa. Solo che ad acquisire le quote sono Vincenza Nauta, moglie di Enzo Santapaola, e la zia acquisita del figlio di Nitto.

Per il difensore di Santapaola, l’avvocato Francesco Strano Tagliareni l’ipotesi avanzata dalla Procura è “ardita, anche perchè se l’intenzione era quella di nascondersi da eventuali controlli dell’autorità giudiziaria non avrebbe scelto di intestare l’attività di ristorazione alla moglie”. Una valutazione quella dell’avvocato che si fonda sul profilo della norma sulle misure di prevenzione che dispone che i controlli patrimoniali devono riguardare anche quelli dei congiunti dell’indagato e, quindi, in questo caso la moglie.

E’ convinto invece che alla fine del processo emergerà “che il fato non sussiste, o comunque, non costituisce reato” l’avvocato Giuseppe Lipera, difensore dei fratelli Salvo e Aldo Ercolano.

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18 Gennaio 2016, 07:01

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