Cronaca

Crisi da Covid, i ristoratori ko: “Il nostro mestiere va rivisto”

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16 Gennaio 2021, 06:09

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PALERMO – Non raccontandosi bugie, studiando il modo di reinventarsi e facendo rete con chi sostiene il suo lavoro: così passa le sue giornate Gigi Mangia, ristoratore palermitano, fra i tanti che il Covid ha ‘intrappolato’ in un limbo di perdite, ristori e delivery. Il suo ristorante è la nuova tappa del viaggio di Live Sicilia fra le attività economiche colpite dalla crisi. Perché (ri)partire proprio dalla sincerità lo spiega il protagonista, in un ragionamento che non risparmia qualche stoccata alla politica ma si incentra soprattutto su una categoria che a suo dire ha un gran bisogno di ‘guardarsi allo specchio’.

Ristori ed errori, “bisogna dire la verità”

“Chiariamo due concetti. Il primo è semplice, e cioè che bisogna dire la verità. Io ho vissuto in prima persona il non chiedere i famosi seicento euro di marzo, per una questione di onestà intellettuale… Quella che spero abbiano avuto tutti coloro che non sentivano un bisogno essenziale di quei soldi. Ora però, in mezzo a tutto questo dire continuamente che ‘i ristori li hanno presi tutti’, ci sono io che aspetto da agosto. Non ho avuto niente. Il secondo concetto invece è più duro da accettare: il nostro mestiere è finito, o quantomeno sospeso. Un po’ come gli affetti in questo periodo”.

Proprio all’insegna del dire la verità, Mangia parte subito con le ammissioni. “Da marzo a giugno sono stato uno dei più battaglieri quando immaginavo una possibile ripresa, per esempio facendo e poi vincendo la guerra al plexiglas. Oggi però devo constatare che è inutile cercare di riproporre in forma tradizionale l’idea di ristorante. L’errore che penso di aver commesso io per primo – prosegue – è di aver fatto confusione fra due cose diversissime. Da una parte la ristorazione, dall’altra tutto il resto come i fast food ma anche i pub e tutti quei locali meno orientati al pranzo e alla cena. Nessuna discriminazione, ma l’attività dei ristoratori prevede di trasformare prodotti per il cliente. Oggi questa attività non è realizzabile come prima, e cercare di fare la guerra al ‘resto’ risulta assurdo”. Secondo Mangia i ristoratori rischiano di diventare “isole, sempre se già non lo siamo. Se dobbiamo salvarci dal contagio e al tempo stesso impegnare le nostre lunghe giornate, dobbiamo reinventarci”.

Le certezze dalla parte dei ristoratori

Il ragionamento-appello ai ristoratori entra nel vivo: “Alcune certezze ce le abbiamo senz’altro. Intanto abbiamo le conoscenze, gli ingredienti e un bagaglio che dobbiamo sicuramente cedere e tramandare. Ma non solo, perché possiamo sempre e comunque contare sul pubblico. Non si tratta di soddisfare la fame o esigenze chiare, la ristorazione è una cosa a parte. Magari i clienti non avranno più intenzione di frequentare luoghi chiusi, ma non smetteranno mai di mangiare e di voler mangiare bene. Quindi la nostra missione, il primo passo, dev’essere questo. Anche perché – ironizza con un velo di rabbia – noi ristoratori mica possiamo pensare di attirare bagni di folla come quando il governo ha lanciato il cashback…”.

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“A ogni chiusura, sarà più difficile”

“Mi chiedete come trascorro il mio tempo da quando il Covid mi ha bloccato. Rispondo: anche a coltivare rapporti con le professionalità che collaborano con me – racconta ancora Gigi Mangia –. Le idee sono tante, fra cui inventare e sviluppare insieme una piattaforma che possa raggiungere più clientela possibile con più prodotti possibili, ma restando nella territorialità. Chiaramente non possiamo arrivare a Busto Arsizio, ma perché non cominciare a pensare per esempio a Castelbuono o Cefalù? E poi sto cercando di capire sempre di più un ‘alfabeto’ che non mi apparteneva, quello digitale. Il mondo è cambiato, e così anche il nostro modo di parlare e usare questo linguaggio nel lavoro di tutti i giorni”.

Questo ottimismo però contrasta inevitabilmente con la tristezza di quei ristoratori che in questi mesi hanno perso tutto, costretti ad abbassare la saracinesca anche dopo aver tentato il tutto per tutto con asporto e delivery. “Lo so bene – osserva il nostro intervistato – e so anche che a ogni chiusura il momento si farà sempre più difficile. Anche per chi è rimasto aperto, perché da questo macello non ci si può salvare se si resta soli”. E il cerchio si allarga se si concepiscono i ristoratori, “quelli più veri e attenti al territorio, come terminali economici della nostra terra. I pastori, i fornitori, i produttori di ortofrutta anche di nicchia: finendo il nostro mestiere, ne finirebbero tanti altri. Invece non deve andare così, si deve proteggere la vita anche nelle campagne e nei borghi lontani dalla città, e si devono mantenere le radici che legano i piatti ai posti dove viviamo”.

Il lockdown: “Se non lo facciamo chi rimarrà?”

Gigi Mangia vuole ribadire che non si schiera più dalla parte di chi vuole tutto a tutti i costi. “Si comincia a sentire in giro che quindici giorni di lockdown non ce li possiamo permettere: per me non è così – dice, prendendo una posizione di fatto in linea con quella del sindaco Leoluca Orlando –. Se non chiudiamo, se non tuteliamo la salute, se non guariamo, chi rimarrà? Chiudere a questo punto potrebbe essere fondamentale, ma lo è anche dare la possibilità di vivere. E allora intanto non demonizziamo il delivery – aggiunge rivolgendosi di nuovo ai colleghi ristoratori – che io non vedo come un mostro ma come un cavallo da domare. Bisogna lavorare anche su questo: una volta porcellana pregiata, oggi cellulosa. Dobbiamo ricominciare, e se ripartiamo da piccole reti territoriali, incentivando un rapporto diretto con la clientela, credo che questo mestiere non morirà”.

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16 Gennaio 2021, 06:09

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