24 Settembre 2009, 11:29
1 min di lettura
Per la prima volta nella storia un capo di Cosa nostra riconosce la propria mano dietro un ‘pizzino’. A farlo è l’ex padrino Salvatore Lo Piccolo – a capo della cupola fra il 2006 e il 2007 – di fronte i giudici della seconda sezione dalla corte d’Assise di Palermo dove si sta celebrando il processo per l’omicidio e l’occulatamente del cadavere di Giovanni Bonanno morto col metodo della lupara bianca. Lo Piccolo ha ammesso la paternità di un pizzino ritrovato nel covo di Montagna dei Cavalli, il giorno dell’arresto di Provenzano, in cui si comunica l'”amara decisione” presa dai boss ai vertici dei mandamenti di Resuttana e San Lorenzo, a Palermo.
Solo che il “Barone”, forse nel tentativo di generare confusione, ha attribuito quello scritto alla decisione di eliminare Francesco Pastoia, capomafia di Belmonte Mezzagno, e suo genero Giacomo Greco. “In quel periodo gestivano un appalto per la distribuzione degli elenchi telefonici a San Lorenzo. Il mio riferimento alla lettera di Provenzano era questo” ha detto nelle sue dichiarazioni spontanee. Una versione che non convince i pm – presenti Francesco Del Bene e Anna Maria Picozzi – per via della tempistica. Secondo l’accusa la datazione del pizzino è posteriore al suicidio di Pastoia. In ogni caso una perizia grafologica aveva già attribuito a Lo Piccolo la calligrafia del pizzino.
I legali di Lo Piccolo hanno, inoltre, chiesto l’audizione di nuovi testimoni (siamo agli sgoccioli del dibattimento) fra cui anche Sergio Sacco, cognato del procuratore capo di Palermo, Francesco Messineo. Giorni prima della sparizione di Bonanno, Sacco – secondo alcune conversazioni e la deposizione della vedova, Monica Burrosi – gli avrebbe consigliato di allontanarsi da Palermo. La richiesta è stata rigettata dalla corte dopo una breve camera di consiglio. Nella prossima udienza si procederà a fissare le date per la requisitoria e le arringhe della difesa.
Pubblicato il
24 Settembre 2009, 11:29