Scambio di persona e interdittiva | Ma ora il Tar annulla la misura

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13 Febbraio 2020, 19:56

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PALERMO – L’interdittiva aveva colpito l’impresa per uno scambio di persona tra fratelli. Poi è stata revocata ma è arrivato un altro provvedimento di accertamento di una possibile infiltrazione mafiosa. L’impresa, con sede in provincia di Caltanissetta, aveva dovuto così chiudere i battenti. Il dipartimento regionale alle Attività sanitarie aveva infatti revocato il riconoscimento all’azienda alimentare.

La ditta ha così deciso di fare ricorso e ha ottenuto la sospensiva del provvedimento. Adesso la sezione palermitana del Tar Sicilia ha deciso di accogliere il ricorso, riconoscendo che la motivazione dell’interdittiva “non evidenzia sufficienti elementi indizianti idonei a formare un mosaico di intrecci, interferenze e contiguità che incidano sull’affidabilità dell’impresa”.

Come detto, l’imprenditore è stato colpito dalla prima interdittiva a causa dello scambio con il fratello, che doveva essere raggiunto dall’ordinanza di custodia cautelare per rapporti con la mafia. Il provvedimento fu però recapitato all’uomo sbagliato e nonostante il Gip abbia poi revocato la misura, la prefettura ha fatto partire comunque il provvedimento, che a distanza di poco tempo è stato revocato.

Successivamente, nell’aprile 2018, è arrivato però una nuova interdittiva. Quest’ultima era basata su alcuni elementi che “seppure declinati in vario modo – secondo i magistrati amministrativi -, finirebbero per insistere, direttamente o indirettamente, solo sul mero rapporto parentale”.

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Inoltre, venivano presi in considerazione alcuni indizi: dalle condanne penali inflitte al legale rappresentante dell’azienda per reati molto ‘datati’, alle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia risalenti a diversi anni prima, oltre a due telefonate (non intercettate) avvenute in passato con soggetti poi finiti in arresto.

Infine, cinque anni prima dell’interdittiva, i due fratelli, erano stati in società. Uno dei due sarebbe stato effettivamente vicino al clan. Ma i giudici sottolineano che “da tempo i due fratelli hanno separato vite ed interessi e non sono in rapporti di frequentazione”. Il fatto di essere parenti, in altre parole, non basta a giustificare la presenza di una collusione con la mafia.

L’impresa così potrà essere totalmente riabilitata dentro il mercato. Le spese sono state compensante fra le parti “tenuto conto dell’ampia latitudine del potere discrezionale che la legge conferisce alla pubblica amministrazione nella materia”. Mai come in questi casi, sembrano suggerire i giudici, è facile sbagliare nel ricavare il bianco e il nero in una zona grigia.

 

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13 Febbraio 2020, 19:56

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