23 Novembre 2020, 14:39
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Dal Santuario della Madonna del Monte, portato a spalla, sorretto anche dalla commozione di uomini forti, andava via Nanà, come vanno via i morti al mio paese.
Finestre e porte chiuse, ad implorarli di passare oltre, di dimenticare le donne affaccendate nelle case, il bottegaio che ruba, il bambino che gioca e odia, gli occhi vivi che brulicano dietro l’inganno delle porte chiuse.
Leonardo Sciascia andava via come un figlio che non si vorrebbe mai seppellire.
Eppure, saluta la sua Racalmuto, anch’essa costruita su quelle pietre in cui l’orgoglio maschera la miseria.
Comunque si cominci, l’importante è cominciare, anche nella morte con il suo ultimo viaggio.
Non era uomo di fede e non sappiamo quanto, intimamente, se ne facesse un cruccio. Aveva la disperata tenacia degli intellettuali, quell’altissimo senso di responsabilità che non permette di abbandonare al metafisico il caso di essere nati.
Ma andava via come un siciliano di rango fra corone di fiori variopinte, come in una festa. Fra stendardi e croci, chierici, studenti, il primo cittadino in fascia tricolore e le donne che, invece, quel giorno uscirono in strada a salutarlo.
Andarono in molti come si celebra il lutto di un parente perché Nanà era rimasto umile, si disse. Nanà era un poeta.
Leonardo Sciascia, penna che ancora s’invoca in assenza di altre voci critiche d’intellettuali, scriveva in un luogo in cui si può vedere il mondo senza i veli del pregiudizio, non consacrando mai la realtà come verità.
Nella sua terra in cui gli antichi non risero mai della sua luce coltivava il seme del dubbio, riservatamente anche nei versi.
Qui la Sicilia ascolta la sua vita. Qui è l’anima di Leonardo che non si allontana dalle stagioni dell’insularità in cui i papaveri accendono una fiorita di sangue.
In ogni luogo riconosce la pena di una disfatta festa nella consapevolezza di viaggiare su una nave di malinconia. E pare di vederlo, con la sigaretta fra le dita, mutare il nulla in parola.
Regalpetra, terra mai tradita, trasfigurata, è il paese che come un vascello salpa in cui s’impiglia una vela di morte, ma soltanto una vela perché chi nasce nell’entroterra siciliano disconosce il mare lasciando, invece, nella zolla un calco atroce.
Nella piazzetta di tante notti vigili, la fontana ha chiamato le case in un sonno lieve – e la luna all’amore della fontana: versicostruiti nel riserbo delle private cose dei fanciulli che, più degli altri, intuiscono l’esistere.
I suoi versi hanno assonanza di campanelli duri, il sole dello zolfo, disillusioni dolcissime, tepore di rimpianti tanto aspri da non mutare in confessione.
Leonardo Sciascia muore a Palermo, in Viale Scaduto “fra pareti popolati di quadri e librerie e finestre aperte sul verde degli alberi” Così Fabrizio Catalano ricorda la casa del nonno dove ebbe modo di trascorrere l’infanzia “immerso nel silenzio a fantasticare, a volte braccato per i corridoi bui da ominidi immaginari”.
“Oggi la casa odora di chiuso – mi dice. Ma, per magia, rivedo ancora l’abat-jour accesa sul comodino e mio nonno che, qualche giorno prima di morire, mi cerca vecchi libri sul cinema.”
Finché la memoria presenta il suo saldo, possiamo riparare l’effimero di ogni convivio.
Così Nanà, adesso, nella sua Racalmuto, rimane vivo come non mai, presso i suoi morti.
Non resta che tornare a ripararci nella sua lirica terragna accesa dal cielo infuocato di certi tramonti di Sicilia.
Leonardo Sciascia – Opere 1956 – 1971 a cura di Claude Ambroise – Classici Bompiani 2001 – 2003 – Euro 63,75
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23 Novembre 2020, 14:39