Niente più scorta a Ignazio Cutrò| Le ‘colpe’ del testimone di giustizia

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23 Ottobre 2016, 06:00

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PALERMO – “Non si gioca con la vita”, ha detto Ignazio Cutrò quando ha saputo, nei giorni scorsi, che il ministero dell’Interno ha deciso di non rinnovargli le speciali misure di protezione previste per i testimoni di giustizia. “Ma neppure si gioca con la scorta”, devono avere pensato al Viminale, scorrendo le decine di violazioni contestate all’imprenditore a cui va il merito di avere contribuito, nel 2008, all’arresto dei mafiosi del clan di Bivona. Un gesto coraggioso a cui hanno fatto seguito l’inserimento fra i testimoni di giustizia, la protezione di Stato dal 2011 e per ultimo l’assunzione alla Regione.

È il suo successivo comportamento che non hanno gradito alla Commissione centrale del ministero dell’Interno. “Oggi non mi ha ucciso la mafia ma lo Stato – ha detto Cutrò quando ha saputo della revoca – se è così che vanno le cose, sarò io il primo a dire ‘Non denunciate’, non ne vale assolutamente la pena”. E giù gli attestati di solidarietà e l’indignazione per l’insana scelta dello Stato.

Il punto è che Cutrò e i suoi familiari, a cui vengono garantite, sempre e comunque, forme di tutela perché una cosa è lo status di testimone di giustizia un’altra la protezione, avrebbero collezionato una raffica di violazioni delle “disposizioni di sicurezza” che lo Stato, a cui Cutrò dà dell’assassino, ha previsto per proteggerlo. In tanti hanno segnalato le anomalie per il comportamento. Il Servizio centrale di protezione, la Prefettura di Agrigento, le compagnie di carabinieri di diverse città, l’Ufficio coordinamento forze di polizia hanno sentito la necessità, oltre che il dovere, di “tirare le orecchie “a Cutrò e ai suoi familiari. Per loro restano in vigore le misure “ordinarie” di protezione garantite dalle autorità locali.

Perché? Perché si sarebbero spesso allontanati con mezzi privati e senza neppure fare sapere dove stessero andando. E agli agenti di scorta sarebbe toccato attaccarsi al telefono per conoscere la destinazione e le persone che stavano incontrando. Come quella volta che, siamo nel 2015, moglie e figli avrebbero raggiunto in un ristorante la parente di quello che viene definito “un mafioso di Bivona”. Altri mafiosi i Cutrò avrebbero “affettuosamente salutato” in una circostanza meno lieta, e cioè una visita di condoglianze.

Non si tratta di casi isolati. Sono una settantina, infatti, gli spostamenti non autorizzati nel corso dei quali Cutrò avrebbe messo in pericolo la sua vita e quelli di coloro che sono stati costretti a fare gli straordinari per proteggerlo. Vita dura quella del testimone di giustizia. Addio privacy, ma le regole vanno rispettate. D’altra parte zeppo di regole è l’accordo di protezione che Cutrò ha sottoscritto il 21 gennaio del 2011. Chi le viola è fuori dal programma.

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Tra le regole c’è anche la riservatezza. L’accordo prevede, infatti, che Cutrò eviti di rendere tracciabili i suoi spostamenti. Ed invece negli anni ha convocato conferenze stampa, partecipato a manifestazioni pubbliche e rilasciato interviste, alcune molto critiche nei confronti degli uomini chiamati a proteggerlo. Una volta il figlio li definì “impreparati”. Nel fascicolo del Viminale si fa menzione pure delle lamentele denigratorie contro lo Stato che pure gli ha dato la possibilità di partecipare, aggiudicandosela, a una gara pubblica e successivamente di ottenere un posto fisso alla Regione.

Scelta difficile quella del testimone di giustizia, tanto che Cutrò ha più volte, salvo poi ripensarci, fatto richiesta di essere estromesso dal circuito di protezione. Fino a quando qualcuno ha deciso per lui. Perché, dicono al ministero, gli accordi, quando a rischio c’è la vita stessa, vanno rispettati. Non si può uscire di casa con una macchina privata, senza avvertire chi ha l’obbligo di proteggerti.

LA REPLICA DI IGNAZIO CUTRÒ (riceviamo e pubblichiamo)

“In riferimento all’articolo pubblicato il 23/10/16 su ‘Live Sicilia’ dal titolo ‘Niente più scorta a Ignazio Cutrò le colpe del testimone di giustizia’, si osserva che sono state divulgate delle false informazioni gravemente denigratorie nei confronti di Cutrò Ignazio e dei suoi familiari che hanno sempre manifestato il massimo rispetto per le Istituzioni e per gli uomini chiamati a proteggerlo. Nell’articolo vengono riportati episodi falsi in cui si evidenziano contatti tra i Cutrò e soggetti, non meglio identificati, contigui ad ambiente mafiosi. Il contenuto appare altamente diffamatorio soprattutto perché viene lesa l’immagine di Cutrò Ignazio da anni esposto in prima fila nella lotta al racket mafioso prodigandosi affinché aumentino le denunce dei cittadini onesti. Pertanto con la presente si chiede di rettificare l’articolo con la pubblicazione del presente comunicato nell’esercizio del diritto disciplinato dall’art. 8 L. 47/1948 così come modificato dall’art. 42 L. 416/1981.

Ignazio Cutrò, assistito dall’avvocato Katia La Barbera”.

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23 Ottobre 2016, 06:00

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