Se il potere non lascia segno |Viaggio nei dolori di Agrigento - Live Sicilia

Se il potere non lascia segno |Viaggio nei dolori di Agrigento

La foto con le pecore sulla scalinata della Cattedrale circolata nei giorni scorsi sui social (clicca per ingrandire)

La Sicilia dei potenti. Tanta (vecchia) politica ed economia non pervenuta. Il voto e gli assetti.

Pure a San Gerlando manca la terra sotto i piedi. Forse non c’è immagine migliore per raccontare Agrigento. Dove la Cattedrale, edificata su una collina che va franando a poco a poco, è chiusa da anni. Qualche giorno fa su Facebook circolava una foto di pecore al pascolo sulla scalinata. E così, gli sferzanti appelli alla città del vescovo Francesco Montenegro, creato cardinale da Papa Francesco, partono dall’altare di una chiesa vicina. A lui è toccato sloggiare dall’episcopato, anch’esso a rischio frana.

Benvenuti ad Agrigento, dove il potere è stato di casa senza praticamente lasciare traccia. Fino a qualche anno fa da questa provincia arrivavano il presidente della Regione, un ministro, tre assessori regionali. Alla città non è servito più di tanto. Basta guardare i dati snocciolati qualche giorno fa dalla Cgil con una disoccupazione sopra il 20 per cento, un tasso di inattività delle donne vicino al 75 per cento, un calo demografico di 35mila abitanti negli ultimi 25 anni, un tasso di natalità da tempi di guerra. Numeri disastrosi, come disastroso è ogni anno il piazzamento del capoluogo di provincia nelle ultimissime posizioni della classifica della qualità della vita del Sole 24 Ore.

E dire che da queste parti la politica ha sempre fatto il bello e il cattivo tempo, tagliando nastri e inaugurando opere che dovevano cambiare tutto. E che invece, hanno condiviso quasi tutte lo stesso infame destino. Prendete il Palacongressi a Villaggio Mosè. Negli anni Ottanta fu inaugurato con attese stratosferiche. Avrebbe dovuto portare ondate di turismo congressuale. È chiuso, da anni, una decina, e pare che galleggi sull’acqua. Ora il sindaco Lillo Firetto assicura che i tempi sono maturi per riaprire i battenti, si parla del febbraio prossimo.

Intanto, pur senza Palacongressi, il turismo ha preso un certo slancio negli ultimi anni. Passeggiando nella centrale via Atenea, si incrociano diversi stranieri. “La città ha cominciato a comprendere il suo rapporto con la Valle dei Templi. Abbiamo 400 B&B attivi. E per la prima volta abbiamo ottenuto finanziamenti per il centro storico”, dice il sindaco Firetto.

Già, il sindaco. Lo incontriamo a Palazzo di città, in piazza Pirandello. Dove da qualche tempo si fa guardare il busto dedicato al grande drammaturgo, ritratto con curiosi pettorali da culturista. E i buoni propositi del cronista di evitare di usare il luogo comune del pirandellismo per raccontare Agrigento vanno subito a farsi benedire. Perché da queste parti il pirandellismo è tutto. Prendete, appunto, Lillo Firetto: sindaco, a capo di un movimento civico che conta una decina di consiglieri comunali. Insomma, un punto fermo della politica cittadina. Eppure, nessuno sa per chi voterà alle Regionali del 5 novembre. Curioso, alquanto.

La sfida da queste parti vede in campo veterani sulla breccia da molti lustri. Perché qui ad Agrigento non c’è industria, non c’è economia che non sia assistita o comunque legata al rapporto con il pubblico. E così potere, affari e politica hanno sempre costituito un tutt’uno. Basti pensare a quali sono le grandi aziende qui. Il primo nome è Girgenti Acque, la società che gestisce il servizio idrico e che fa capo a Marco Campione. Sulla quale si sono appuntate le attenzioni dei pm, che hanno parlato di “assumificio”, con i politici del territorio in fila per “segnalare” parenti e figliocci per un posto di lavoro. Ma non c’è solo quell’inchiesta. Ci sono anche i sequestri disposti di recente dalla procura agrigentina guidata da Luigi Patronaggio per i depuratori della società. I giornali locali raccontarono che in quello del Villaggio Mosè i reflui in uscita erano più inquinati di quelli in entrata. Pirandello, dalla sua piazza, ci sorriderà su.

Altro grande business legato al potere è la raccolta dei rifiuti. Qui in mano a un raggruppamento di imprese, con l’Iseda di Giancarlo Alongi e la Seap di Sergio Vella, imprenditore vicino agli alfaniani. E poi c’è la discarica di Siculiana, della famiglia Catanzaro, una delle aziende private che in Sicilia gestisce il conferimento dei rifiuti. Non certo la più grande, ma una delle più esposte, visto il ruolo pubblico di Giuseppe Catanzaro, presidente di quella Sicindustria che nel recente passato, negli anni delle presidenze Lo Bello e Montante, è stata vicina ai governi regionali di Lombardo prima e di Crocetta poi.

La mappa del potere economico in città si esaurisce più o meno qui. “Un tempo c’era l’edilizia, in cinque anni abbiamo perso 1.600 operai”, racconta con amarezza Massimo Raso, segretario della Cgil di Agrigento. Ruolo che in un recente passato è stato ricoperto da Mariella Lo Bello, oggi vicepresidente della Regione, alfiere di quel che resta del crocettismo e candidata nella lista del Pd.

Già, l’edilizia è ferma. Il patto per la Sicilia presentato da Renzi ha smosso qualche appalto. Ma le storie di paralisi e stalli da queste parti non mancano. Basti pensare al villaggio sportivo di Villaseta, un gioiellino con piscina, campi da tennis, pista d’atletica inaugurata addirittura da Sara Simeoni. È rimasto chiuso per una vita, ora la giunta ha riaperto parte della struttura. Chiuso, da sempre, è anche il Parco dell’Addolorata, ai piedi della collina franante su cui si erge la Cattedrale. Inaugurato quattro o cinque volte, ha pure un teatro all’aperto, ma in pratica non è mai stato aperto.

E così, in un contesto così depresso, non resta che aggrapparsi alla vecchia politica. E politici sono i potenti locali, tutti in cerca di riconferme. Come Roberto Di Mauro, già viceré agrigentino negli anni d’oro del lombardismo, oggi nel listino del Musumeci e in lista insieme a Roberto Lagalla. O come Michele Cimino, da un ventennio all’Ars, già assessore forzista, già assessore miccicheiano, oggi diversamente renziano con Sicilia Futura e domani chissà, anche lui in corsa per la rielezione. O come Riccardo Gallo Afflitto, dominus della Forza Italia locale, già vicinissimo a Marcello Dell’Utri e forte di un rapporto personale con il Cavaliere in persona: corre anche lui a questo giro. O come Angelo Capodicasa, già presidente della Regione, punto di riferimento della vecchia sinistra, che oggi qui spinge la candidatura di Claudio Fava.

E poi c’è ovviamente Angelino Alfano. Il ministro da queste parti si vede poco, ma il suo peso negli equilibri del potere agrigentino ancora c’è, confermano tutti gli osservatori. Certo, per lui la sfida del 5 novembre è esiziale, la sua lista deve superare lo sbarramento perché il suo progetto centrista non esali l’ultimo respiro. Da qui la scelta di giocare in lista un carico come Vincenzo Fontana, un pezzo di storia politica agrigentina, che ha allestito il suo comitato elettorale in Viale della Vittoria a due passi dall’Asp. E a proposito di Asp, qui come altrove la sanità gioca un ruolo importante nelle dinamiche del consenso, basti pensare ai successi del passato di Salvatore Iacolino, ex forzista che ha riparato a questo giro nelle liste dell’Udc. Ultima voce del business locale – anche questa legata al pubblico – è quella legata all’accoglienza degli immigrati, soprattutto dei minori non accompagnati.

Tornando alla politica, aleggia sempre il nome di Totò Cuffaro. Quanto ancora pesi l’ex governatore di Raffadali nessuno lo sa. Qualcuno ricorda che all’ultimo test elettorale in cui Cuffaro si espose a sostegno di un candidato, il parente Mimmo Chiarelli ad Aragona, questi raccolse 62 preferenze. Ma l’ex presidente gode ancora di una certa popolarità, dopo la sua uscita di scena per la condanna per favoreggiamento con l’aggravante mafiosa.

E a proposito di mafia, e di potere, la criminalità organizzata da queste parti come altrove è un attore ancora vivo. La mafia militare è radicata in provincia. Luoghi come Palma o Favara erano roccaforti un tempo vicine ai Corleonesi, ma cnhe teatro delle sanguinose guerre tra mafiosi e “stiddari”. Non a caso da queste parti sono stati catturati latitanti del calibro di Giovanni Brusca e Gerlandino Messina. Oggi la mafia si sarebbe spostata nell’orbita trapanese di Messina Denaro. Nel capoluogo non c’è una mafia militare e nemmeno un diffuso racket delle estorsioni. Ma c’è comunque la mafia, che da sempre e come sempre guarda agli affari.

La speranza per il futuro è concentrata sul turismo. Che potrebbe frenare l’emorragia di giovani. La Valle gioca la sua parte, e nello scacchiere del potere va menzionato Bernardo Campo, vicino agli alfaniani, presidente del consiglio del Parco. A proposito di giovani, si era tentata la carta del Consorzio universitario, altra operazione politica che non ha mantenuto le promesse degli inizi. Il primo presidente fu Roberto Lagalla, l’ultimo Gaetano Armao, che si è dimesso pochi mesi fa per candidarsi (ma alla fine non si è candidato più). L’anno scorso ci furono solo un centinaio di iscritti, quest’anno il nuovo corso in Mediazione linguistica ha un po’ rianimato il sofferente consorzio.

Soffre la formazione ma un po’ soffre, battendosi, anche l’informazione. Un tempo la principale tv privata cittadina, Teleacras, era un piccolo “colosso”, oggi i tempi d’oro del defunto patron Giovanni Miccichè sono lontani. In città, oltre alle redazioni dei due principali quotidiani regionali, non mancano altre voci, come Grandangolo, diretto da Franco Castaldo, o il sito Sicilia24h, creatura del fratello Lelio Castaldo, insieme a diverse altre testate on line.

Insomma, Agrigento soffre ma non s’arrende. Malgrado il potere mostri sempre le stesse facce e la stessa “logica dell’appartenenza” denunciata da Patronaggio qualche giorno fa durante la cerimonia di inaugurazione della “stanza della memoria” dedicata al “giudice ragazzino” Rosario Livatino.

Speranza, malgrado tutto. “Il progetto Girgenti cambierà il volto del centro storico. Il Palazzetto Nicosia riaprirà il 31 ottobre. Rinascerà il Museo civico: sta cambiando tanto”, assicura il sindaco Firetto, mostrando, nella sua stanza dove è appesa la sua foto con Andrea Camilleri, lo stato di avanzamento delle opere del Patto per il Sud. E raccontando della candidatura della città a Capitale della cultura 2020, dopo il premio Paesaggio, impensabile fino a qualche anno fa per una delle città simbolo dell’abusivismo.

Aspettando il futuro, è però amaro il sapore che ti resta in bocca, quando lasci la città per affrontare quel girone infernale disseminato di cantieri e intoppi che è la strada che porta a Palermo, in uno spettacolo di casamenti non finiti e orrendi scheletri in periferia. Uno scenario che a un certo punto lascia il campo alle enormi pale dell’eolico. Che qui aveva trovato il suo re, Salvatore Moncada, la cui azienda, però, negli ultimi anni si è progressivamente allontanata dalla città: “L’energia rinnovabile vive di autorizzazioni, di un apparato burocratico che ti consente di lavorare – spiega l’imprenditore -. Un rimborso Imu a Milano lo fanno in quattro mesi, ad Agrigento in otto anni. Oggi abbiamo impianti in Sudafrica, Filippine, Bulgaria. Purtroppo da noi non interessa lo sviluppo del territorio ma solo il ritorno personale”. Ma questa è pur sempre la città in cui la terra sotto i piedi viene a mancare persino al santo patrono.

(2- segue)

Leggi la prima puntata: Potere, affari, massoneria. Viaggio nell’immutabile Messina


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