20 Febbraio 2022, 06:18
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La Sanità ‘distrutta’ della Sicilia, oltre il Covid. Un titolo eccessivo? Provate a chiederlo a chi adesso, in un pronto soccorso, magari a Villa Sofia, sta aspettando da ore con un codice giallo. Forse è una persona anziana. Soffre comunque, anche se non è in pericolo di vita. E tutto quello che vede ha le sembianze dell’inferno. Perché ogni attimo del dolore è solitario, interminabile. E non è sufficiente la lacerazione di uno per usare termini che, forse, appariranno impegnativi, ma sono commisurati – perché ne basta uno – a una pena che non trova urgente riparo?
Diciamolo subito: la Sanità siciliana è spesso come il ‘ciaffico’ di Johhny Stecchino. Una piaga biblica da tramandare di bocca in bocca, nel rinnovarsi di una tradizione. Fuori dal paradosso, non è mai stata, dal punto di vista del servizio, nonostante l’abnegazione dei suoi protagonisti, un esempio di meccanica divina. Qualcosa è stato fatto – molto o poco, lo stabiliscono gli utenti, non le segreterie politiche contrapposte – soprattutto sul versante Covid, grazie alle risorse a disposizione. Ma quel vecchietto dolente, intrappolato in un imbuto senza sollievo, è lì, bloccato in quel pronto soccorso, come accade da troppi anni. E il suo stato d’animo somiglia a quello di tanti che non trovano risposte sufficienti per il diverso problema di salute che li affligge.
Allora perché non imparare dall’orrore di una pandemia e prendere lo spunto per migliorare tutto? Se la catastrofe ci ha posto drammaticamente e universalmente davanti all’obsolescenza di un sistema, perché non provare a cambiarlo? Il focus sul disagio proprio al pronto soccorso no Covid di Villa Sofia allarga gli orizzonti. Ecco l’esempio classico di una struttura che ha dovuto sopportare il peso di tutto ciò che non era riferibile al virus e sarà pure un caso limite, ma non un capitolo a parte nella narrazione delle nostre cronache della salute appesa a un filo. Risuona ancora l’appello del primario, il dottore Aurelio Puleo: “Noi ce la mettiamo tutta, ma la situazione è questa. Il territorio offre tante opzioni. Ci sono gli altri pronto soccorso, le guardie mediche, i presidi territoriali. Chi sta davvero male e ha un codice rosso viene subito trattato, nei limiti del possibile. Per gli altri si prospettano lunghe attese. Chi ha un’urgenza drammatica si precipiti ovunque… Gli altri compiano una valutazione sul posto migliore a cui rivolgersi, nel loro stesso interesse. E, se possono, vadano altrove”.
“La Sanità siciliana distrutta, con riferimento al no Covid, non mi pare un’esagerazione, si tratta della triste realtà – dice il dottore Giuseppe Bonsignore, sindacalista del Cimo, la sigla che raccoglie i medici ospedalieri -. Succede perché non c’è mai stata una vera organizzazione e la pandemia non ha fatto altro che peggiorare l’esistente. Veniamo da quindici anni di tagli sconsiderati, spacciati come la soluzione, che hanno creato un danno importante. Noi partivamo da due, gli altri da otto, per usare una unità di misura: è chiaro che siamo andati in crisi. In due anni di Covid non si è fatto niente, se non riconvertire posti che già esistevano, togliendoli ad altri pazienti. Una occupazione militare giustificata dall’emergenza che, però, non ha avuto un bilanciamento, lasciando scoperti più settori”.
“Perché è chiaro – continua Bonsignore – che le persone, poi, stanno male anche per altro. Almeno, a noi era chiaro e lo abbiamo detto più volte. La trasformazione dell’ospedale ‘Cervello’ in nosocomio Coivid, con interi reparti cancellati per il resto, non ha ricevuto compensazioni. La realtà del pronto soccorso di Villa Sofia a Palermo rimane drammatica, senza che né l’Azienda né i vertici della Sanità siciliana riescano a trovare una soluzione. E se non verrà rinnovato lo stato d’emergenza, ci troveremo dentro la tempesta perfetta, se non verranno riconfermati, come si teme, medici e infermieri a tempo determinato assunti per il Covid. Siamo riusciti a tenere botta contro la pandemia, ma abbiamo lasciato indietro molti altri pazienti con altre patologie”.
Una situazione vista da Palermo che, in prospettiva, racconta di più. Come una storia di cui ci siamo occupati qualche tempo fa: quella della Psichiatria del policlinico ‘Paolo Giaccone’. Il reparto è stato nuovamente chiuso, come ha denunciato il suo primario, il professore Daniele La Barbera: “La prima telefonata a marzo 2020. Mi viene comunicato che, dato l’aumento esponenziale dei ricoveri, servono i nostri posti letto. E mi viene assicurato che a luglio riapriremo. Rientriamo a luglio, ma del 2021. Lei ha idea di cosa sia una unità inattiva per quindici mesi, che non ricovera, che non porta avanti le sue terapie nei confronti di malati che sono molto spesso gravi e dunque bisognosi di assistenza ospedaliera? Pazienti cronici, difficili che perdono fiducia perché non possono contare più su di noi. Comunque, rieccoci. Solo che a gennaio scorso, altra comunicazione: i nostri posti servono di nuovo, il reparto viene ancora chiuso”.
“Oltretutto salta agli occhi – ecco la denuncia – che non è stata messa a punto alcuna programmazione su come affrontare la prevedibile recrudescenza del Covid. Mi pare che siamo in balia di decisioni estemporanee, rese obbligatorie dalla necessità”. Sembra che, fra un paio di settimane, il reparto potrebbe tornare disponibile, ma si tocca ferro e non sarà semplice recuperare un’assenza. Non è una vicenda marginale, ma la conferma di come dei punti nevralgici siano rimasti nell’ombra.
Il dottore Massimo Farinella, esponente del nostro Comitato tecnico scientifico, presidente regionale della Cisl medici, è un uomo di campo che si è trovato, da primario di Infettivologia, al ‘Cervello’, dove imperversava la battaglia dei contagi e delle infezioni. “La situazione non è omogenea – dice – ma tutte le aree di crisi hanno un elemento in comune: la spaventosa carenza di organico. Gli organici, infatti, non sono adeguati e questo crea problemi. E non parlo soltanto della vasta area del no Covid, anche noi abbiano lavorato in carenza di personale. Io sono stato per due anni al fianco di sette infettivologi, con ben sessanta posti letto. I giovani ci hanno senz’altro dato una mano, ma non possono affrontare i turni da soli e dovranno completare la loro formazione. All’aumento dei posti letto non è seguita una proporzionale crescita dei medici. E gli ospedali non sono certo ostelli della gioventù”.
“La penuria ovunque foriera di disagi – insiste il dottore – nelle aree d’emergenza diventa tragica. In generale, con la riconversione dell’ospedale ‘Cervello’ sono venuti a mancare centinaia di posti e non partivamo da un contesto svizzero. Ecco perché è impossibile dare risposta alla domanda di cura in tempi normali. Le liste d’attesa che erano scandalose e non sempre trasparenti in condizioni normali, dopo il Covid hanno assunto proporzioni bibliche. Chi può pagare si rivolge al privato, chi non può pagare aspetta. E spera”. Ricapitolando: spazi garantiti, ma non sempre risorse umane adeguate alla pandemia. L’afflizione di guai atavici nella vasta fetta di diversamente sofferenti.
La cronologia la conosciamo. Le ondate. La paura. Il sollievo. Di nuovo la paura. E un’attenzione che si dilata e si riassorbe, secondo il bollettino del giorno. Durante il lockdown, oltre il Covid, c’era ben poco da curare, ma soltanto nella porzione visibile, non nel sommerso delle malattie. Le persone, se potevano, non andavano in ospedale. Non si recavano al pronto soccorso i protagonisti dei cosiddetti ‘accessi inappropriati’ che non dovrebbero essere lì. Ma non ci andavano, per timore del contagio, nemmeno quelli che stavano male davvero. Non c’era il vaccino. Eravamo tutti foglie indifese, esposte al vento dell’infezione. Era un altro mondo e forse l’abbiano dimenticato. “Adesso la situazione si è normalizzata – spiega il dottore Fabio Genco, responsabile della centrale operativa del 118 di Palermo e Trapani. Posso assicurare che tutte le emergenze vengono garantite tempestivamente. Abbiamo circa cinquecento chiamate complessive al giorno. I carichi di lavoro non sono leggeri”. Significa che c’è il grande ritorno negli ospedali, perlomeno come domanda.
“La Sanità no Covid – aggiunge il dottore Massimo Geraci, primario del pronto soccorso all’ospedale Civico – nelle varie fasi di riconversione dei posti letto per l’emergenza pandemica ha, di conseguenza, ridotto l’offerta assistenziale. Pure prima i posti non bastavano, in una situazione caratterizzata dalla mancanza di medici”. E’ l’impietosa radiografia di una trincea. Che ha affrontato il peggio con lucidità e coraggio, eppure continua a smarrirsi nei suoi inciampi perenni.
(foto d’archivio in copertina)
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20 Febbraio 2022, 06:18