06 Giugno 2023, 13:50
4 min di lettura
In fondo la medaglia più luccicante gliel’ha appuntata il suo avversario più urticante, Gianfranco Miccichè: “Schifani è meglio di Musumeci, senz’altro. Ancora è presto per un giudizio complessivo. Ma ha portato a casa la finanziaria in pochi giorni, con astuzia. Renato è uno che conosce bene i meccanismi politici”. Una taddema di riconosciuta qualità, sia pure contornata da metaforici vaffa. Mentre Alessandro Albanese, presidente di Confindustria Sicilia ha chiosato: “Il rapporto della categoria con il governo Schifani è ottimo, molto migliore del passato. C’è confronto, c’è un giusto approccio, c’è una vitalità ritrovata dal punto amministrativo, c’è spesa pubblica per realizzare cose. C’è un ritrovato slancio degli assessorati di riferimento dell’impresa, Attività produttive in primis, Territorio e Lavoro. E poi il presidente prende delle posizioni a vantaggio della Sicilia che sono assai opportune”.
Ma a che punto è il percorso del presidente della Regione? Unendo i puntini, anche quelli del dato complicato delle amministrative per Forza Italia, in attesa dei ballottaggi, ecco lo scenario verosimile: Renato Schifani che incontrò la candidatura in un giorno d’estate – racconto del medesimo – ha sempre le carte in mano. Le ha perché – per il ruolo e la forza che ne discende – toccherà a lui rintracciare l’amalgama tra vittorie e contesti un po’ slabbrati. E adesso dovrà darle, quelle carte, anche nella doppia partita che rappresenta lo snodo cruciale della sua esperienza di governatore. Una circostanza di cui l’interessato è ovviamente consapevole, come emerge dalle parole delle interviste in cui si annota la consueta cautela, all’occorrenza belligerante.
All’orizzonte c’è il rimpasto che si presenta con più di una increspatura da appianare. Fratelli d’Italia ha dissotterrato l’ascia di guerra politica. “Per gli assessori di Fdi il rimpasto alla Regione non è all’ordine del giorno, ma c’è un problema politico con la Lega di cui il presidente Renato Schifani terrà conto perché, dalle dichiarazioni che leggo, mi pare che, come sempre, abbia molto chiaro il quadro complessivo e sono sicura sarà ancora una volta figura super partes e di garanzia per la coalizione”. Così la vicesindaca di Palermo, Carolina Varchi, che ha dispiegato la fisionomia di una frizione, esplosa con le amministrative: “Alla Regione si è verificato un problema specifico, mi riferisco a Trapani dove il miglior candidato possibile indicato dal centrodestra, Maurizio Miceli, è stato battuto di un soffio al primo turno dall’uscente. La Lega ha rinunciato a presentare la lista col centrodestra e gli uomini di riferimento dell’assessore regionale di quel territorio hanno sostenuto apertamente l’uscente con una lista civica”.
Salvo Pogliese, ex sindaco di Catania e segretario regionale dei meloniani, ha espresso, più o meno, lo stesso concetto: “Serve necessariamente una riflessione su quanto accaduto a Trapani. Sono amico personale di Turano, ma quello che è accaduto è particolarmente grave. In un capoluogo di provincia tanto importante il centrodestra doveva andare compatto sul candidato della coalizione, Maurizio Miceli. La lista vicina a Turano ha determinato invece la vittoria di Tranchida. Ripeto: è gravissimo. Anche perché il presidente si è era espresso personalmente per l’unità. Siamo costretti a prenderne atto”.
C’è poi l’altra sfida, che non prescinde dalla prima, ma che porta addosso la responsabilità del vero risultato da raggiungere. La Sicilia è immersa fino al collo nei suoi guai. Niente di diverso dal solito, ma siamo a un crocevia. L’impressione è questa – tra autonomia e arcigni chiari di luna – o impariamo a camminare da soli, oppure rischiamo di fermarci per sempre. Ed è sconfortante osservare come la produttività e la qualità della politica sono rimaste ferme a ere geologiche in cui, tutto sommato, l’inefficienza era più deplorevole che foriera di una catastrofe imminente. La lentezza dell’Ars è un dito puntato contro i privilegi di una classe dirigente per cui non sarebbe giustificata nemmeno la normalità degli emolumenti. Allargando lo sguardo, tutta la nostra mappa del potere si rivela costellata da califfati che antepongono un ipotetico censo alla dimostrazione della loro utilità. E sono ancora freschissime le grida allarmate del presidente dell’Assemblea, Gaetano Galvagno.
La trama intricatissima della doppia partita, dopo le elezioni e le naturali scosse di assestamento, è dunque principalmente nelle mani del sovrano democratico di Palazzo d’Orleans. Fu proprio il presidente Schifani a dire: “Io non sono venuto per riposare, voglio cambiare in meglio la mia terra, sono qui per questo. Sono pronto a svolgere il mio compito fino in fondo”. Una promessa che va mantenuta, per scongiurare il peggio. Perché la salita è adesso. (Roberto Puglisi)
Pubblicato il
06 Giugno 2023, 13:50