19 Dicembre 2019, 10:17
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PALERMO – Due recenti rapporti dell’Anac e dell’Istat rivelano che la Sicilia risulta la Regione con il più alto tasso di corruzione e di assuefazione al fenomeno. Secondo il rapporto dell’Autorità anticorruzione in Sicilia, nel triennio 2016-2019, si sono registrati 28 episodi di corruzione: il 18,4% del totale nazionale), quasi quanti se ne sono verificati in tutte le regioni del Nord (29). Ventotto casi di corruzione in tre anni possono sembrare un numero piuttosto esiguo in considerazione della vastità dell’apparato pubblico presente nel territorio regionale, ma il confronto con il dato nazionale e con l’insieme delle regioni più ricche del Paese evidenzia che l’incidenza della corruzione nell’Isola è molto superiore a quella del territorio nazionale. Ed in ogni caso bisogna considerare che i dati ufficiali non forniscono una stima attendibile della reale entità del fenomeno corruttivo, che resta in larga misura sommerso, e deve pertanto essere considerato molto più esteso e pervasivo di quanto lascino intendere le statistiche giudiziarie.
Al di là del numero dei casi gli aspetti più allarmanti sono l’assuefazione di cittadini ed imprese al fenomeno corruttivo e la capacità di infiltrare pressoché tutti gli ambiti del sistema economico-sociale. Il rapporto dell’Istat certifica che la corruzione viene considerata dalla maggioranza dei cittadini una sorta di consuetudine, talmente diffusa e sistemica da rendere pericoloso denunciare i tangentisti, e le cronache delle ultime settimane attestano eloquentemente che il fenomeno riguarda pressoché tutti i settori strategici dell’economia e della società regionale: dagli appalti alla sanità, dalle concessioni ai finanziamenti pubblici. Ciò contribuisce ad attivare un circolo vizioso che aggrava le difficoltà del sistema economico-sociale regionale : riduzione dell’occupazione, dei redditi, dei consumi ecc. La corruzione, infatti, costituisce una zavorra che falsa la concorrenza, ostacola la meritocrazia, moltiplica il contenzioso, alimenta la criminalità e l’evasione fiscale, falcidia le entrate tributarie, fa lievitare i costi di servizi ed opere pubbliche, ostacola gli investimenti, riduce l’efficienza dei servizi pubblici e la competitività delle imprese. Le norme penali sono molto severe ma si sono dimostrate inadeguate a contrastare il dilagare della corruzione a causa del ridotto numero di denunce, della difficoltà di scoprire e sanzionare i casi di corruzione (che spesso si verificano nell’ambito di procedure particolarmente complesse) e di accertare il passaggio di denaro o il conseguimento di altri vantaggi, dei tempi lunghi delle indagini e dei processi, che impiegano svariati anni per l’accertamento definitivo di episodi di corruzione, e spesso si interrompono a causa della prescrizione .
Per ovviare a queste criticità la legge del 2009 ha affiancato al reato previsto dal codice penale una nuova figura di corruzione come illecito amministrativo, che comprende ogni caso di cattiva gestione della cosa pubblica, ed ha imposto a tutte le amministrazioni, gli enti e le società pubbliche di adottare un piano anticorruzione, valutare il rischio corruttivo e adottare una serie di strumenti per prevenirlo e contrastarlo: dalla rotazione del personale all’obbligo di astensione in caso di conflitto di interesse, dai codici di comportamento alla tutela di chi segnala episodi corruttivi, dalle incompatibilità specifiche per alcuni incarichi dirigenziali agli obblighi di pubblicazione degli atti pubblici e dei dati su dipendenti, dirigenti ed amministratori, dalla disciplina specifica in materia di attività successiva alla cessazione del rapporto di lavoro alla formazione in materia di etica, integrità, dai meccanismi di formazione, attuazione e controllo delle decisioni idonei a prevenire il rischio di corruzione al monitoraggio del rispetto dei termini per la conclusione dei procedimenti, dall’informatizzazione dei procedimenti all’accesso generalizzato agli atti pubblici, dalle misure di sensibilizzazione e partecipazione del personale a quelle di semplificazione dell’organizzazione burocratica e dell’attività amministrativa, dai controlli alla regolazione dei rapporti con i soggetti esterni. L’assunto è che le amministrazioni devono prevenire e perseguire come eventi corruttivi non soltanto le ipotesi di “commercio” dell’ attività istituzionale che costituiscono reato, ma tutti i casi di violazione delle norme vigenti, a prescindere dal conseguimento di denaro e dalla conclusione delle indagini penali. Ciò consente di anticipare, estendere e rendere più efficace il contrasto alla corruzione, dal momento che le amministrazioni dispongono di strumenti atti a prevenire casi corruttivi, e per adottare le relative sanzioni non è necessario dimostrare passaggi di denaro o altre utilità o attendere gli esiti dei processi penali.
Tuttavia le relazioni dell’Anac e della Corte dei conti rivelano che le amministrazioni e le società pubbliche hanno applicato queste regole solo formalmente, come fastidiosi adempimenti burocratici, complessi e privi di concreta utilità. Il campionario delle elusioni delle regole è vasto: piani anticorruzione fotocopia diffusi tra enti omologhi (comuni ecc), previsione delle misure imposte dalla legge cui però non fa seguito la loro effettiva attuazione, valutazione del rischio corruzione superficiale e approssimativa, analisi del contesto generica e assente o carente, sostanziale inadempimento delle misure di semplificazione organizzativa e delle regole di trasparenza, controlli insoddisfacenti e inefficaci, scarsa responsabilizzazione del personale, assenza di coordinamento tra il piano anticorruzione e quello della performance, autoanalisi organizzativa e monitoraggio delle misure anticorruzione assente o carente, isolamento del responsabile anticorruzione e scarso coinvolgimento di dirigenti e vertici politici. Ciò nonostante le sanzioni restano soltanto virtuali, poiché l’Anac non ha la struttura adeguata per verificare l’attività di oltre 8.000 comuni e decine di migliaia di altri soggetti che svolgono funzioni pubbliche e verificare la legittimità di un infinta mole di atti. Anche in questo caso, a fronte di una legge che prevede efficaci strumenti per contrastare un fenomeno che sottrae fondamentali risorse al sistema economico, i risultati sono insoddisfacenti a causa dell’inefficienza e dell’inattuazione delle regole da parte delle amministrazioni interessate. Per invertire la rotta sembra necessario garantire il rispetto delle norme sulla trasparenza, che facilitano i controlli, rendere effettiva la valutazione dell’adempimento delle misure anticorruzione tra gli indicatori di performance dei dipendenti pubblici, prevedere che gli organismi di valutazione verifichino la qualità del piano anticorruzione e l’effettiva attuazione delle misure previste, coinvolgere concretamente dirigenti e vertici politici nell’attuazione del piano e renderne effettiva la responsabilità, rendere automatica l’attivazione dei procedimenti disciplinari in seguito all’accertamento delle violazioni. La soglia di adempimento alle regole anticorruzione potrebbe essere considerata come indicatore della performance delle amministrazioni ai fini del’attribuzione delle risorse finanziarie, premiando quelle virtuose e sanzionando quelle inefficienti, che sarebbero così chiamate a sopportare il costo della inefficienza.
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19 Dicembre 2019, 10:17