“Favori, ritardi e parentopoli…” | Parti civili all’attacco di Saguto

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27 Febbraio 2019, 11:32

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CALTANISSETTA- “Conosce Guglielmo Muntoni?”, inizia con questa domanda il secondo atto del controesame dei pubblici ministeri a Silvana Saguto nel processo in corso a Caltanissetta. Si parte con gli incarichi ottenuti dal marito, Lorenzo Caramma, pure lui sotto processo. Muntoni era allora presidente della sezione Misure di Prevenzione di Roma.

“Certo che lo conoscevo. Muntoni veniva inviato a Palermo da Costantino Visconti a fare delle lezioni al Dems. Muntoni era nuovo alle misure di prevenzione e mi chiedeva informazioni sulla prassi da seguire. Ci vedevamo nei convegni. Muntoni mi disse che voleva nominare Gaetano Cappellano Seminara e mio marito, che non potevano lavorare a Palermo. A Palermo si evitava di nominare mio marito. Ci fu un inizio ma poi finì perché ci fu l’inchiesta. Credo che Muntoni abbia mantenuto Cappellano. Poi, per cautela processuale non ci siamo più sentiti”. Ad ascoltarla ci sono gli avvocati del collegio difensivo, Ninni e Giuseppe Riina, e Antonio Sottosanti.

In realtà il tenore dei rapporti fra Muntoni e Saguto, secondo i pubblici ministeri Claudia Pasciuti e Maurizio Bonaccorso, sarebbe stato ben diverso. I due pm contestano a Saguto il contenuto di due intercettazioni con Cappellano Seminara e Fabio Licata, altro giudice della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo. Cappellano non era convinto della nomina di Caramma: “Avevo qualche dubbio… in questo momento”. E Saguto ne parlava con Licata: “Muntoni gli ha dato un incarico a Cappellano per fare lavorare mio marito ma lui (Cappellano, ndr) si spaventa”.

L’ex presidente risponde alla domanda con un’altra domanda: “Secondo lei Muntoni se voleva dare un incarico a mio marito aveva bisogno dell’intermediazione di Cappellano? Lo nominava come perito. Lo nominava a prescindere, mio marito lavorava con le autorità giudiziarie non solo con Cappellano. Muntoni riteneva normale il fatto che mio marito continuasse a lavorare con Cappellano”.

Nelle conversazioni registrate dai finanzieri si parla spesso di “documenti”. Secondo l’accusa, era un modo per evitare di citare la parola soldi. I soldi che Gaetano Cappellano Seminara avrebbe dato a Silvana Saguto in cambio di nomine e favori. Ventimila euro consegnati una sera a casa del giudice dentro una valigia. Il pm Pasciuti legge alcune intercettazioni. “Ti raccomando di vederci domani con Lorenzo (Lorenzo Caramma, ndr)”. Cappellano: “… Io gli do i documenti”. Saguto risponde: “Parlavamo del provvedimento della misura Sbeglia. Erano documenti. Volevo vedere le bozze, leggerle prima del provvedimento. Quando parlo di soldi, come le richieste per le parcelle di mio marito, dico soldi, quando parlo di documenti sono documenti. Pressavo Cappellano, forse dovevo depositare un provvedimento che riguardava l’hotel Ponte, non ricordo cosa fosse. Forse era un’autorizzazione a convocare un’assemblea. Forse un cambio societario. C’era una scadenza. Infatti mi diceva che eventalmente potevo parlare con Aulo Gigante. Se non erano documenti che motivo c’era di parlare di Gigante”. Si riferisce alla frase in cui Cappellano parlava, il giorno in cui avrebbe portato i soldi a casa del giudice dentro un trolley, di una “relazione a cui ha lavorato Gigante”. “I documenti furono poi depositai?”, chiede il pm. “Non formalmente. Erano le bozze da leggere prima di redigere il provvedimento”, aggiunge Saguto. “Che motiva aveva di parlare con suo figlio Elio all’indomani di questi documenti?”, chiede ancora il pm: “Parlavamo di tante cose. Saltavo di pala in frasca. Mi chiedeva informazioni su tutto”. Il confronto si fa serrato. Perché diceva al figlio “non c’è li darà”?. “Al telefono si sbaglia”, taglia corto. Chi doveva dare qualcosa? Secondo l’accusa, in quei giorni di giugno del 2015, Saguto avrebbe ottenuto del denaro da Cappellano in concomitanza con un momento di difficoltà economica del giudice. Ed infatti con il marito Saguto definiva “un miracolo” il fatto che pur andando in rosso il conto corrente era passato l’addebito mensile della carta di credito. Poi, aggiungeva: “… quello non ho bisogno di andarlo a cercare oggi”. Chi è “quello”? “Mio padre, non c’era bisogno di chiedere aiuto perché la banca aveva fatto passare la carta. Io chiedevo aiuto a mio padre o a mio suocero” . “Scusi, ma lei a suo padre lo chiama quello”, chiede il pm. Risposta: “Può anche darsi, lo dico anche per mio marito, i miei figli. Non è molto grazioso ma capita”.

Saguto torna sulle segnalazioni delle persone da fare lavorare nelle amministrazioni giudiziarie. L’ex presidente ribadisce il concetto del sistema che aveva già espresso alla scorsa udienza, ma aggiunge un particolare: “Tutti gli amministratori che prendevano misure mi chiedevano persone da fare lavorare al posto dei proposti che per legge devono essere allontanati. Li cercavamo in ambienti religiosi, tra i salesiani, figli di colleghi, disoccupati. Una segnalazione me la fece il prefetto Cannizzo perché gli era arrivata dal Quirinale. Era una famiglia disagiata. Il marito aveva due by pass, dormivano in macchina. Erano persi. Il Quirinale ci segnalò una situazione tragica, allora io chiamo Provenzano e Santangelo e chiedo se c’è un lavoro. Abbiamo sistemato la moglie per le pulizie in una clinica, gli abbiamo portato pure da mangiare. Sì, ho segnalato persone. Era il sistema e io lo facevo. Era giusto così. Le persone non si trovavano. Così reclutavamo le persone, fra i conoscenti, perché ci serviva gente di cui ci fidavamo”.

Uno dei capitoli del processo riguarda lo scontro fra Andrea Dara e Gaetano Cappellano Seminara che per un periodo lavorarono assieme ma poi le loro strade si separarono. Dara aveva nominato Cappellano per assistere, da avvocato, in alcune causa la società in amministrazione giudiziaria. Al momento della liquidazione delle parcelle Dara si rifiutò di pagarle. Le riteneva esose, antieconomiche. Secondo l’accusa, alla fine le parcelle da 800 mila euro furomo pagate su pressione di Saguto, dismettendo alcuni titoli della società in amministrazione giudiziaria. Saguto ha un’idea nettamente diversa e non risparmia critiche e parole durissime nei confronti di Dara: “Dara non voleva pagare la parcella a Cappellano. Muovevano delle contestazioni pretestuose, infondate in diritto. Le parcelle si pagano in base al valore della causa. Se Dara mi dice che non è così dice una castroneria. Se ci faceva causa Cappellano vinceva. Come avvocato gli spettava la parcella. Quello che gli è stato liquidato era ridottissimo rispetto al valore delle cause. Dara era in mala fede. Se non era congrua il pubblico ministero Calogero Ferrara, che non era manco mio amico, l’avrebbe impugnata. Dara era in mala fede e di lui avevo un giudizio pessimo, mi aveva fatto fallire tutto di Aiello (si riferisce ai beni di Michele Aiello, manager della sanità condannato per mafia, ndr). Mi sono fatto il mio lavoro, l’ho valutato io, ne ho parlato con i miei colleghi e l’ho liquidata”.

“Il tutto in soli quattro giorni?”, contesta il pm. Saguto risponde alzando il tono della voce: “Forse ero brava, forse cercavano altro o forse erano cose da me già vagliate. Loro avevano molto fatica a valutarle, facevano fatica a trovare alte cose che non c’erano”.

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Il pagamento delle parcelle dismettendo di titoli ha provocato un danni alla società. “Lo sapeva?”, chiede il pm. Risposta: “Un debito è un debito. Va pagato”. Quando il pubblico ministero Pasciuti parla dei rapporti fra i due amministratori, Dara e Cappellano Seminara, l’ex presidente sbotta: “L’unico vero amministratore, grande, bravo era Cappellano. Non l’altro. Quando lo è diventato Dara ha fatto debiti. Per Villa Santa Teresa è stato bravo, ma per le imprese edili era un disastro”.

Altro capo di imputazione riguarda la tesi di laurea che Carmelo Provenzano, amministratore giudiziario e professore alla Kore di Enna, avrebbe preparato al figlio del magistrato, Emanuele Caramma. Anche questo viene considerato un favore frutto del patto illecito. Il pm Bonaccorso cita una conversazione in cui Saguto spiega ad un’amica: “Lui dovrebbe prendersi tre materie… secondo me non ci arriva… comunque per fortuna che non dipende da me… la tesi il professore ci pensa… Per la tesi di Francesco ho perso parecchi chili… era tale lo stress… ora perderei la vita non ce la farei a livello mentale… con tutti i pensieri che ho…”. Nella frase “il professore ci pensa” ci sarebbe la prova, secondo l’accusa, c’è la prova che fu Provenzano ad attivarsi per favorire il percorso di studio del figlio del magistrato.

“Intendevo di che il professore correggeva la tesi – si difende il magistrato -, Provenzano è un motivatore. Emanuele era iscritto ad una università privata a Roma, ma non aveva una gran voglia di studiare. La tesi l’ha fatta Emanuele”. Eppure, aggiunge Bonaccorso, “lei dice l’ha fatta lui la tesi, praticamente. Senza Provenzano nonché ci sarebbe arrivato”.

Dal frigorifero alla nomina di Walter Virga, passando per la gestione della sezione misure di prevenzione. Sono gli avvocati di parte civile a cercare di picconare la figura di Silvana Saguto che in apertura dell’esame, alla scorsa udienza, aveva ripercorso le tappe della sua carriera. A cominciare dai rapporti con Rocco Chinnici, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. “I miei maestri”, li aveva definiti. Il giro di domande dei legali di parte civile inizia con le scintille. Raffaele Bonsignore, avvocato degli imprenditori Rappa, tra coloro che si sentono vittime del sistema Saguto, chiede provocatoriamente: “Lei ha imparato dai suoi maestri a fare debiti nei negozi in amministrazione giudiziaria?” (il riferimento è al debito accumulato al supermercato Sgroi gestito dall’amministratore Alessandro Scimeca, ndr). L’avvocato Ninni Reina si oppone alla domanda. Il presidente del Tribunale Andrea Catalano non l’ammette, ma il clima si surriscalda. Bonsignore elenca i richiami e le procedure disciplinari avviate nei confronti di Saguto in cui si faceva riferimento alla lentezza dei processi gestiti dalla sezione da lei presieduta, ai ritardi nel deposito delle sentenze e nella convocazione delle udienze. Saguto replica: “Tutto è stato archiviato prima di arrivare al Csm ed è stata riconosciuta la mia indubbia capacità di lavoro e il fatto di essere un esempio in tutto il circondario. Iniziavo tardi le udienze perché c’era una pletora di amministratori. Ecco perché il processo iniziava alle undici. Prima mi dovevo fare il lavoro della gestione che era più importante”.

Poi, si passa alla nomina di Walter Virga nella gestione dei beni del gruppo Rappa. In un troncone del processo era imputato, ma è stato assolto, Tommaso Virga, il padre di Walter, con l’accusa di abuso d’ufficio. Non ha retto l’ipotesi che Saguto avesse nominato il figlio per ingraziarsi il padre e ottenere un suo aiuto al Csm qualora fosse stata avviata una procedura nei suoi confronti.

Virga, ricorda Bonsignore e Saguto conferma, venne a Palermo quando “abbiamo chiesto l’apertura di una procedura a nostra tutela contro gli attacchi mediatici”. “All’epoca aveva già dato incarichi a Walter Virga?”, chiede il legale. “Non ricordo”, ma aggiunge subito: “Virga l’ho nominato di mia iniziativa. Lavorava alla fallimentare, era professore universitario, frequentava il corso. Tommaso Virga non mi ha mai segnalato nessuno, anzi mi disse di toglierlo. Fabio Licata voleva gente nuova perché ci dicevano che nominavamo sempre quelli del cerchio magico”.

Quindi Bonsignore fa l’elenco dei parenti che Virga e i suoi coadiutori hanno piazzato nella gestione della Nuova Sport Car, la concessionaria di macchine sequestrata e di recente restituita a Rappa: “Non lo sapevo – dice Saguto – Chiedetelo a Fabio Licata che era il giudice delegato”. La gestione Virga, però, scricchiolava. La stessa Saguto ricevette lamentele sul conto di Virga jr da Rosolino Nasca, all’epoca in servizio alla Dia che propose il sequestro Rappa. “Lei cosa fece?”, chiede il legale. “L’ho segnalato a Licata”, risponde Saguto. Ma l’incarico a Virga non fu revocato: “Ci furono le ferie e poi a settembre ci fu il sequestro. E poi farlo subito significava fare credere che avevamo ceduto alle pressioni mediatiche”.

C’è poi una curiosità che emergere dalle domande dell’avvocato Vincenzo Lo Re, legale degli albergatori Ponte. “Lei Chiese a Cappellano di prestate un frigorifero dell’Astoria?; “Me lo chiese il prefetto. Perché, non si può fare? Che danno era? C’era il presidente polacco in visita”.

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27 Febbraio 2019, 11:32

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