30 Gennaio 2015, 07:30
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PALERMO – Un palermitano al Quirinale? Sergio Mattarella parte in pole position per la corsa alla successione di Giorgio Napolitano che si apre in queste ore. Certo non mancano i casi illustri di candidati entrati papi e usciti cardinali, ma al momento, il fratello di Piersanti è “il” candidato, sostenuto dal Pd tutto intero. Almeno ufficialmente, va aggiunto visti i precedenti. Pd e Berlusconi permettendo, l’ex vicepremier potrebbe spuntarla secondo i media nazionali già dalle prime votazioni.
Un siciliano Capo dello Stato non si è mai visto. O meglio, un siciliano al Quirinale. Visto che in queste ore un siciliano Capo dello Stato, per quanto supplente, c’è già, ed è il presidente del Senato Piero Grasso. Se a Matteo Renzi riuscirà l’operazione Mattarella, si formerà infatti un’inedita accoppiata palermitana sulle due poltrone più alte della Repubblica. Proprio nel momento in cui la Sicilia si dimena nel pantano, e rischia di affondare, proprio nei giorni più drammatici e incerti della Regione, i siciliani oltre Stretto si ritrovano protagonisti di una sinfonia di potere, ben saldi nei gangli più strategici dei Palazzi che contano. Curiosa coincidenza, questa, quasi un ossimoro.
Al di là delle valutazioni sul merito, un dato di fatto balza all’occhio e merita di essere registrato: se nell’Isola la classe dirigente, con in testa il governatore Rosario Crocetta, precipita nel disastro generale, i siciliani di mare aperto, nella Capitale hanno occupato, piaccia o meno, posizioni chiave. Come il leader di Ncd Angelino Alfano, da due anni alla guida del potentissimo e delicatissimo ministero dell’Interno, crocevia strategico come pochi altri nella geografia dell’italico potere. Di Piero Grasso, presidente del Senato dopo gli anni in magistratura a Palermo si è già detto. Ma c’è anche chi da magistrato ha trovato successo e consenso a Roma. Quel Giuseppe Pignatone, palermitano e capo della procura capitolina, che ha piazzato una serie di colpi clamorosi, l’ultimo e il più fragoroso l’inchiesta su “Mafia capitale”. E sempre restando nell’ambito della Giustizia, altra casella pesantissima appannaggio di un siciliano è quella del Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, che da dicembre è guidato dal magistrato Santi Consolo, nativo di Gangi. C’è il professore Giovanni Pitruzzella, da qualche anno alla guida dell’Antitrust. Restando in tema di sicurezza e lotta alla mafia, ricopre da anni un ruolo di vertice nella Confindustria nazionale Antonello Montante, delegato della legalità della confederazione degli industriali, fresco di nomina governativa all’Agenzia nazionale dei beni confiscati e sequestrati alla criminalità organizzata. Perché oltre ai posti chiave nelle Istituzioni, anche nelle parti sociali, in effetti, i siciliani siedono in posizioni di primo piano. In Confindustria, accanto a Montante c’è Ivan Lo Bello, vicepresidente nazionale. E pure nel sindacato ecco un siciliano al vertice, Carmelo Barbagallo neosegretario confederale della Uil.
Stridente il contrasto d’immagine tra quella e questa Sicilia, quella d’esportazione che scala i vertici del potere, e quella “di scoglio”, che arranca nella crisi senza fine con all’orizzonte prospettive fumose e inquietanti. E auspicabile almeno che le due Sicilie, quelle dei palazzi romani e quelle dello sfilacciato potere palermitano, trovino efficaci cinghie di trasmissione. Con o senza un Quirinale targato Palermo.
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30 Gennaio 2015, 07:30