"Sorella sanità" in Cassazione. Condanna annullata per Candela

Sorella sanità, verdetto in Cassazione: condanna annullata per Candela

Fabio Damiani e Antonio Candela
Confermate alcune corruzioni, per altre serve un nuovo processo

PALERMO – Per alcuni capi di imputazione la condanna diventa definitiva, per altri c’è l’assoluzione piena. Per altri ancora sarà necessario celebrare un nuovo processo di appello.

La Cassazione ha emesso il verdetto al processo nato dall’inchiesta denominata “Sorella sanità”. Secondo l’accusa c’era un “patto corruttivo” fra amministratori pubblici e imprenditori per spartirsi appalti milionari nella sanità siciliana.

L’ex manager Antonio Candela

Antonio Candela, ex manager dell’Asp di Palermo, era stato condannato a sette anni e quattro mesi. La sentenza è stata annullata senza rinvio, dunque viene assolto in maniera definitiva con la formula perché il fatto non sussiste, dall’accusa di avere indotto, sotto minaccia, Fabio Damiani, ad assecondare i suoi desiderata. Il reato nel corso del processo è stato derubricato da concussione in induzione indebita a dare o promettere utilità.

Annullata ma con rinvio la sentenza nella parte della corruzione. Deve essere celebrato un nuovo processo di appello. Non ci conosce la motivazione. L’annullamento potrebbe essere legato alla qualificazione del reato – corruzione propria o impropria? – oppure alla valutazione delle prove (il pagamento delle presunte tangenti e il fatto che, come sostiene la difesa di Candela, il suo operato fu favorevole per la pubblica amministrazione che risparmiò milioni di euro). Candela è difeso dagli avvocati Giuseppe Seminara e Salvino Mondello.

L’imprenditore e faccendiere Giuseppe Taibbi (difeso dagli avvocato Ninni e Giuseppe Reina) era stato condannato a sei anni e 4 mesi. La sua posizione segue quella di Candela. In parte assolto, in parte annullamento con rinvio.

Damiani, responsabile della Cuc

Fabio Damiani, ex manager dell’Asp di Trapani e responsabile della Centrale unica di committenza degli appalti per la Regione siciliana (difeso dall’avvocato Paolo Grillo) era stato condannato a sei anni e sei mesi per corruzione. Una parte della sentenza è stata annullata e il processo deve iniziare da capo perché nelle sentenze di primo e secondo grado il fatto è stato descritto in maniera diversa da come era stato citato nel decreto che dispone il giudizio. Alcune ipotesi di corruzione, però, diventano definitive. Damiani dunque è colpevole ma la pena potrebbe essere rivista al ribasso.

Manganaro e gli imprenditori

Quattro anni e 4 mesi era stata in appello la condanna per l’imprenditore agrigentino Salvatore Manganaro, difeso dagli avvocati Marco Lo Giudice e Walter De Agostino. Per Manganaro vale lo stesso ragionamento fatto per Damiani. Colpevole per alcune ipotesi, nuovo processo per altre.

Roberto Satta, ex responsabile operativo della Tecnologie Sanitarie spa, aveva avuto 5 anni e 10 mesi; 7 anni e due mesi per Francesco Zanzi, allora amministratore delegato della stessa società; 5 anni e 10 mesi. Nei confronti dei due imputati, difesi rispettivamente dagli avvocati Pasquale Contorno e Gildo Ursini, una parte del processo diventa definitiva con le condanne e una parte torna in appello.

Definitiva la condanna per Salvatore Navarra, ex presidente del consiglio di amministrazione di Pfe spa. Gli erano stati inflitti 5 anni e 10 mesi ma in un nuovo processo di appello dovranno essere valutate la continuazione dei reati e le eventuali aggravanti.

L’unico assolto nel corso dei processi – non c’era ricorso della Procura in Cassazione – per non avere commesso il fatto è stato Angelo Montisanti, responsabile operativo per la Sicilia della società Siram, difeso dagli avvocati Marcello Montalbano e Claudio Livecchi.

Il blitz nel 2020

Nel maggio 2020 il blitz dei finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziara denominato “Sorella sanità”. “Sorella”, infatti, era il soprannome con cui gli indagati nascondevano l’identità di Fabio Damiani, allora potente manager. “Utilizzava il suo ruolo, la sua funzione per ottenere in cambio utilità economiche e favori politici”, scrisse il giudice di primo grado accogliendo la ricostruzione del procuratore aggiunto Sergio Demontis e dei sostituti Giovanni Antoci e Giacomo Brandini.

Al fianco di Damiani c’era l’imprenditore agrigentino Salvatore Manganaro: “Damiani si destreggiava durante il lungo tempo in cui si sono svolti i lavori della commissione, guidato sapientemente da Manganaro che curava e manteneva contemporaneamente rapporti con soggetti rappresentanti di distinte aziende partecipanti”.

E lo guidava affinché vincesse un’impresa piuttosto che un’altra. Ma il gioco sporco, la “partita a scacchi”, si disputava facendo credere a tutti che era pronto l’aiutino per vincere la gara. D’altra parte Damiani forniva a Manganaro “la documentazione della gara affinché lo guidasse scientemente in spregio a qualunque principio e regola di buona amministrazione”. Damiani e Manganaro nel corso delle indagini hanno deciso di collaborare con la giustizia.

Il ruolo di Candela

Secondo l’accusa, Taibbi avrebbe ricevuto favori da Candela in cambio di soldi. In particolare, il passaggio di una grossa commessa, affidata a Tecnologie Sanitarie (il responsabile operativo era Satta, Zanzi l’amministratore delegato), sotto la gestione della Centrale unica di committenza. La presunta cifra della corruzione non è stata quantificata.

Taibbi prelevò in più occasioni al bancomat prima di salire a casa di Candela, che in quella stagione era diventato il simbolo della lotta al malaffare nel mondo sanitario. L’ex manager si è sempre difeso sostenendo di avere creduto che Taibbi fosse stato inviato dai servizi segreti per stanare i corrotti.


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