29 Luglio 2017, 10:13
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PALERMO – La relazione del consulente Reale è copiata. Per questo motivo, la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti ha deciso di non approvare il rendiconto di un gruppo parlamentare dell’Ars nella parte in cui stanzia cinque mila euro per quella consulenza. Adesso i deputati dovranno metterli di tasca propria.
La vicenda riguarda la nomina all’interno del gruppo parlamentare di Sicilia democratica presieduto da Giambattista Coltraro, del consulente Vincenzo Reale. La spesa per quel lavoro, sostenuta con i soldi pubblici destinati alle forze politiche di Palazzo dei Normanni, non è stata considerata regolare dalla Sezione di controllo della Corte dei conti nella deliberazione con la quale esamina ogni anno le spese dei gruppi parlamentari. A quella pronuncia il gruppo di Sicilia democratica si è opposto. Ma il ricorso è stato respinto per un vizio formale: il gruppo aveva dimenticato di notificare l’atto al Procuratore generale. Così, il ricorso è stato giudicato inammissibile e il gruppo dovrà restituire i soldi.
Perché la Corte aveva considerato irregolari quelle spese? Secondo la Sezione di controllo, il consulente era “sprovvisto della necessaria idoneità tecnico–scientifica o, comunque, dell’esperienza necessaria, nel campo della ricerca scientifica, per l’espletamento della consulenza”, e ancora, i magistrati contabili hanno segnalato la “sostanziale inadeguatezza dell’elaborato” che costituisce la relazione finale con cui si attesta il lavoro del consulente “stante l’elementarietà sia del primo testo (allegato al rendiconto) che del secondo testo dello studio e l’assoluta mancanza di originalità dell’ultima versione dell’elaborato redatto dal consulente”. Sul primo punto, il gruppo parlamentare ha affermato che nessuna norma prevede particolari titoli di studio per svolgere l’attività di consulente e che comunque Reale aveva maturato una “pluriennale esperienza politico/amministrativa”.
La Corte però parla anche di “mancanza di originalità” dell’elaborato. E a leggere le carte della sentenza della Sezione giurisdizionale, quel passaggio suona come un eufemismo. “Tale lavoro, infatti, – scrive la Corte – pur presentando una veste scientifica più adeguata risulterebbe, ad avviso della Sezione regionale, pedissequamente riproduttivo di alcuni saggi pubblicati nei numeri 22 (ottobre-dicembre 2012) e 39 (gennaio-marzo 2017) della rivista “Illuminazioni”. Una contestazione respinta dal gruppo: “Lo studio redatto rappresenta il frutto anche degli incontri e degli approfondimenti del consulente con uno degli autori degli scritti pubblicati sulla rivista “Illuminazioni”, non sussistendo la contestata copiatura di saggi altrui”. Ma quella consulenza non potrà essere pagata con i soldi pubblici. I deputati di “Sicilia democratica” dovranno pagarla di tasca propria.
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29 Luglio 2017, 10:13