Staccare o cambiare passo? |Pd, i dilemmi degli sconfitti

Staccare o cambiare passo? |Pd, i dilemmi degli sconfitti

Perde il patito di Crocetta ma anche quello renziano e quello degli ex potentati. E mentre riaffiorano le liti interne, i democratici - Crocetta escluso - sono tutti d'accordo solo su una cosa: il governo regionale fa perdere voti. Ferrandelli: "Ritiriamo gli assessori". Ma Raciti parla (ancora) di "salto di qualità".

Dopo il voto
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PALERMO – “Ma il comizio di Gela l’hai visto? Come si poteva mai vincere?”. Un deputato del Pd sintetizza così l’esito del voto delle amministrative, rimandando al video del fischiatissimo comizio di un furioso Rosario Crocetta, che nella sua città si era messo a polemizzare in dialetto coi vecchi avversari di un tempo. Nel Pd siciliano non c’è voglia di festeggiare. Il successo di Marsala e le altre vittorie nei centri di medie dimensioni come Carini, Pedara, Ispica non bastano. Neanche la clamorosa vittoria in trasferta di Bronte, dove si è posto fine all’impero di Pino Firrarello può far passare in secondo piano le cocenti sconfitte di Gela ed Enna.

L’idea diffusa nel partito è che l’esperienza del governo regionale nuoccia da un punto di vista elettorale. “Lì dove c’è stato un impegno diretto del governo si è perso. Si convochi l’Assemblea del partito e si ritiri la delegazione del Pd dal governo. Gli elettori ci stanno dicendo con chiarezza che senza una presa di distanza dal governo non ci darà sostegno”, rilancia il deputato regionale Fabrizio Ferrandelli, che chiede di commissariare il partito ad Agrigento, Enna e Messina. Il potere logora il Pd, perché non si traduce in risultati. E travolge il partito. Anzi, i partiti, visto che diverse anime del Pd escono con le ossa rotte dalle urne.

Perde il “nuovo” Pd di Crocetta, quello dei Megafoni e dei cespugli acchiappatransfughi. Il governatore subisce lo smacco della sconfitta nella “sua” Gela, la sua “corrente” o quel che ne resta si fa sempre più impalpabile, il suo governo rimane bersaglio di critiche quotidiane, e i partiti nati in parlamento per sostenerlo, come il Pdr di Totò Cardinale, da “valore aggiunto” si trasformano in avversari alle urne per il Pd, con tanto di polemiche al vetriolo. Il governatore ha subito cercato di scaricare sul partito le responsabilità della sconfitta

Ma perde anche il Pd renziano, quello della roboante Leopolda sicula, che sui territori rimane alquanto evanescente. Il candidato sindaco di Gela Angelo Fasulo si era spostato di recente nell’orbita di Davide Faraone e come è finita è ben noto. In generale, i renziani doc di Sicilia non hanno molto da festeggiare.

Perde, infine, il Pd di quelli che erano i potentati. La sconfitta di Mirello Crisafulli nella sua Enna ha de clamoroso e segna, insieme ad altre eccellenti cadute domestiche, il tramonto dei feudi elettorali in Sicilia.

Quello che resiste è un pezzo di vecchia “ditta”, quelle classe dirigenti locali più ancorate alla vecchia organizzazione sul territorio di diessini e democristiani e che fanno capo ai due vecchi rivali interni Antonello Cracolici e Giuseppe Lupo. Come dimostrano i buoni risultati portati a casa da Anthony Barbagallo di Areadem nel Catanese ad esempio.

Per il resto tanta confusione. E preoccupazione. “Nessuno pensi di liquidare questi risultati come il frutto di ‘fatti locali’”, ha subito ammonito Cracolici. Marco Zambuto ha annunciato una riunione dell’assemblea del partito per analizzare “i campanelli d’allarme” del voto. Tonino Russo si è spinto oltre chiedendo un passo indietro a Crocetta. E Lupo ha archiviato l’inseguimento di Ncd, a cui aveva aperto il segretario Fausto Raciti, proponendo un dialogo sulle riforme con i 5 Stelle (“Ho grande rispetto del voto e grande distanza dai 5 stelle”, risponde il segretario)..

Resta però diffusa tra i più la consapevolezza che Crocetta bisognerà pur tenerselo fino al voto. E allora la parola d’ordine resta quella del cambio di passo. Su cui ancora oggi insiste Fausto Raciti, invitando Croceta a non cercare “capri espiatori”. “Non si aprirà nessuna drammatica crisi, però credo che ora serva un salto di qualità perché non possiamo più rinviarlo”, insiste oggi il segretario. Quel cambio di passo di cui si discute ormai da un anno senza vederne traccia. “Non si può solo destrutturare, servono le riforme – dice il deputato Bruno Marziano, che come Renzi punta l’indice contro le primarie: “Vanno ripensate, succede sempre qualcosa che le snatura”. In effetti, dopo il disastro di quelle di Agrigento – dove alla fine Raciti ha messo un’efficace pezza appoggiando Firetto dopo tanto caos – una riflessione sul tema sarà obbligatoria.

Per il resto, al Pd non resta che lavorare per il dopo. Perché se si dovesse andare a votare domani, un piano non c’è, così come non ci sono un candidato e una coalizione. E costruire una candidatura e una coalizione è la preoccupazione di Raciti. Il nome di Caterina Chinnici circola con insistenza ma non mancano le perplessità. Alla fine, i veti incrociati interni potrebbero premiare un candidato esterno, come Gianpiero D’Alia (che non a caso qualche “amico” ha già provato a bruciare). Ma parlare di nomi adesso sarebbe un suicidio per un chiunque.


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