Stato-Mafia, “Falcone mi disse: | ‘controlla gli appalti'”

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03 Ottobre 2019, 12:10

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PALERMO – “Conobbi Giovanni Falcone quando era direttore degli Affari penali al ministero della Giustizia. Eravamo agli inizi di Mani Pulite, Falcone fu il mio maestro nel campo delle rogatorie e mi disse di controllare gli appalti in Sicilia. Cioè l’indicazione era capire se imprese del Nord si fossero costituite in associazioni temporanee di imprese con imprenditori siciliani per l’aggiudicazione di lavori nell’isola”. Lo ha detto l’ex pm di Mani Pulite Antonio Di Pietro, teste al processo d’appello sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia in corso davanti alla corte d’assise d’appello di Palermo. Di Pietro è stato citato dalla difesa di uno degli imputati, l’ex capo del Ros Mario Mori, imputato di minaccia a Corpo politico dello Stato. “Di appalti e della necessità di discutere insieme dell’argomento parlai anche con Borsellino. Decidemmo di fare il punto insieme, ma non ci fu il tempo di farlo”, ha aggiunto.

“Scoprimmo che parte della tangente Enimont attraverso Paolo Cirino Pomicino era arrivata a Salvo Lima”, ha detto ancora Di Pietro che ha riferito dei suoi rapporti con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino con cui, prima degli attentati di cui furono vittime, parlò della possibilità che ci fosse una ‘mani pulite’ siciliana. “Parte dei soldi di Gardini – ha spiegato- sono finiti a Salvo Lima in Cct (buoni del tesoro ndr)”.

Ancora Di Pietro: “Davanti alla bara di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino mi disse: ‘dobbiamo fare presto, dobbiamo vederci o sentirci nei prossimi. Dobbiamo trovare il sistema. Capii allora – ha aggiunto – che Borsellino si stava occupando di questo. Cosa di cui ebbi conferma dopo tempo, quando su input del Ros andai a sentire Giuseppe Li Pera, geometra della De Eccher che mi spiego’ il sistema degli appalti in Sicilia e mi fece i nomi di Siino e Salamone”. Ma Borsellino, il 19 luglio del 1992, venne assassinato e i due magistrati non ebbero il tempo di fare il punto sull tranche di mani pulite che portava alla Sicilia. “Anni dopo, quando Caselli arrivò a Palermo- ha spiegato – il coordinamento si fece e dopo uno scontro con Ingroia, entrambi volevamo fare le indagini, si stabilirono in una cena a casa di Borrelli le regole per poter indagare contemporaneamente in modo efficace sugli appalti”.

Di Pietro si è detto “convinto che Paolo Borsellino fu ucciso perché indagava sulle commistioni tra la mafia e la gestione degli appalti. L’indagine mafia-appalti fu fermata. E dopo fu fermata ‘mani pulite’ attraverso una campagna di delegittimazione e di dossieraggio ai miei danni ordita su input di politici specifici che poi mi spinse a dimettermi dalla magistratura”. Di Pietro è stato citato dalla difesa di uno degli imputati, l’ex capo del Ros Mario Mori, accusato di minaccia a Corpo politico dello Stato. L’ex magistrato ha raccontato dei contatti con Borsellino, dopo la morte di Falcone, e dei colloqui avuti con il giudice ucciso in via D’Amelio proprio sul tema delle inchieste sugli appalti. (ANSA).

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03 Ottobre 2019, 12:10

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