03 Marzo 2024, 06:55
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PALERMO – C’è un dato certo nel calderone delle ipotesi plausibili: Arnaldo La Barbera era un poliziotto ricco. Fra il settembre 1990 e il dicembre 1992 il dirigente della squadra mobile di Palermo e capo del gruppo investigativo sulle stragi di mafia versò in banca quasi 115 milioni di lire in contanti. Soldi che aggiungevano ai circa quattromila euro mensili che percepiva di stipendio. Nuove ombre si addensano sul super poliziotto morto nel 2002 e considerato l’uomo chiave del depistaggio costruito sulle bugie di Vincenzo Scarantino e degli altri collaboratori di giustizia fasulli.
Da dove arrivavano i soldi? Dalla mafia come sostiene il pentito Vito Galatolo secondo cui La Barbera era nel libro paga dei boss Madonia? Dai servizi segreti o da chissà chi, su questo indagano i pm di Caltanissetta, come ricompensa per avere indirizzato le indagini sulle stragi lontano dalla verità? Oppure erano fondi neri che gli stessi apparati di intelligence, per cui La Barbera lavorò dal 1986 al 1988, (nome in codice Rutilius) gli assegnavano in generosissimi fuori busta? Ne giravano parecchi allora, di soldi, per pagare trasferte, alberghi, case e ricompensare le fonti.
Tra la documentazione bancaria solo di recente sequestrata dai carabinieri del Ros a casa La Barbera ci sono pure due assegni per 22 milioni di euro di lire, emessi nel 1993 e il secondo nel 1997, firmati da La Barbera in favore dall’ex capo unità centrale informativa del Sisde, Luigi De Sena, poi divenuto senatore del Pd. Anche De Sena è morto. Da loro non si potranno sapere le ragioni di quei versamenti.
I magistrati Sergio Lari e Amedeo Bertone, che avevano interrogato De Sena negli anni in cui sono state riaperte le indagini sulle stragi, dissero alla Commissione parlamentare antimafia: “I lacunosi ricordi di De Sena hanno tradito le aspettative di questo ufficio che aveva ritenuto, che, tramite lui, in considerazione degli stretti legami con La Barbera, si potesse far luce sulle strategie e sul modo con cui erano state sviluppate le investigazioni sulla strage di via D’Amelio”. L’ennesimo silenzio in una stagione popolata da smemorati.
C’è la traccia di un assegno da 74.300.000 lire girato da La Barbera “a me stesso”, da un suo conto a un altro, tra le carte analizzate dalla guardia di finanza su incarico dalla Procura di Caltanissetta. Dal 30 giugno al 30 novembre del ’92 La Barbera incrementò il suo personale patrimonio di 30 milioni denaro versato nelle filiali di Mestre e Palermo del Banco di Sicilia.
“Non vi sono movimentazioni in linea con una gestione familiare ordinaria”, ha scritto il finanziere nella parte conclusiva della relazione prodotta dal pubblico ministero Maurizio Bonaccorso al processo sul depistaggio. Tanti soldi, una sfilza di versamenti e mai un prelievo eppure La Barbera era l’unico ad avere un reddito in famiglia. Una risposta alle anomalie sarebbe potuta arrivare dagli altri conti che La Barbera aveva acceso in altre banche, ma ormai è passato troppo tempo. E il tempo non aiuta. Rende fumose le colpe, ma anche le spiegazioni che diventano tutte plausibili.
Nel processo di Caltanissetta è confluita anche un’informativa del 27 settembre dell’89 firmata da La Barbera. Le indagini sull’omicidio dell’agente Nino Agostino e della moglie Ida Castelluccio, avvenuto a Villagrazia di Carini il 5 agosto 1989, furono indirizzate sulla pista passionale, nonostante le modalità dell’omicidio facessero da subito pensare ad un’esecuzione di stampo mafioso. Fu mostrata al padre, Vincenzo Agostino, una foto di Vincenzo Scarantino assieme ad altre. È lo stesso Scarantino che disse di avere partecipato alla strage Borsellino. Anche quella indagine fu una messinscena?
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03 Marzo 2024, 06:55