17 Ottobre 2013, 17:14
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PALERMO – Se volevano percepire ancora uno stipendio “dovevano venirgli incontro”. Come? Scegliendo di versare il Tfr dove voleva il presidente. Salvo scoprire, successivamente, che il loro trattamento di fine rapporto era sparito nel nulla.
Non ci sono solo i raccomandati, i dipendenti dalle parentele illustri e coloro che intascavano lo stipendio senza lavorare. La folta schiera degli operatori della Formazione professionali annovera onesti lavoratori. Che non ci hanno pensato due volte a denunciare i furbi. Tanto onesti da diventare vittime di un sistema malato e capace di “rubare” loro il frutto del proprio sudore: il Tfr maturato negli anni.
Tra le carte dell’inchiesta che ha travolto l’Iraps e l’Anfe di Catania c’è anche la storia “della gravissima forma di appropriazione – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal Gip – delle somme relative al versamento del trattamento di fine rapporto dei lavoratori dipendenti posta in essere con lucida preordinazione e cosciente determinazione da Giuseppe Saffo”. Saffo, assieme a Francesco Cavallaro, viene considerato la mente del sistema. Contro di lui il procuratore Giovanni Salvi, l’aggiunto Michelangelo Patanè e i pm Giuseppe Gennaro e Alessandro La Rosa hanno raccolto le denunce di una sfilza di dipendenti.
Nel 2007 gli operatori di Anfe Iraps furono convocati da Saffo. Una riunione nel corso della quale il presidente avrebbe “suggerito” di versare le somme accantonate presso un’agenzia messinese di assicurazioni. Ad alcuni fu solo suggerito, mentre altri hanno parlato di scelta obbligata. Di una costrizione in piena regola. Saffo giustificò i suoi “consigli” in nome dei “tassi di interesse più convenienti” e della “possibilità di chiedere in qualsiasi momento anticipazioni di denaro”. Tra i dipendenti, però, c’è stato chi ha fornito ai finanzieri una motivazione diversae e subdola. Saffo avrebbe voluto nascondere di non avere versato i Tfr nonostante gli enti avessero incassato tutti i finanziamenti destinati al personale.
E sono iniziate le telefonate allarmate dei dipendenti all’agenzia assicurativa. Avere notizie, però, era impossibile o quasi. Fino a quando l’amara la verità non è venuta a galla. Saffo, e anche di questo reato viene chiamato a rispondere, si sarebbe appropriato di 334 mila euro che spettavano ai lavoratori dell’Anfe e di 309 mila per quelli dell’Iraps. La vicenda non si è conclusa con la contestazione dell’ipotesi di peculato a Saffo. Gli investigatori si stanno concentrando sulla scelta, definita “forse non casuale” di collocare il Tfr presso l’agenzia di Messina. Perché non scegliere lo sportello catanese dello stesso gruppo assicurativo invece di spostarsi nella lontana città dello Stretto? E non è il solo interrogativo. Ancora una volta gli investigatori si chiedono dove siano finiti i soldi del Tfr dei dipendenti. Quei dipendenti che non rientrano nel novero dei raccomandati e non hanno neppure big sponsor. Quei dipendenti che hanno denunciato i colleghi assenteisti, che hanno confermato le spese “folli o fantasma” degli enti. Quei dipendenti che ora rivendicano il Tfr che gli spetta.
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17 Ottobre 2013, 17:14