08 Luglio 2013, 07:00
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Un recente dibattito all’Università di Palermo sulle questioni sollevate dal processo sulla cosiddetta trattativa, com’era prevedibile, ha sollecitato l’estro polemico di Marco Travaglio (cfr. il Fatto quotidiano del 5 luglio). Per non smentirsi, Travaglio non argomenta, ma attacca pesantemente sulla base della sua fideistica adesione alle impostazioni accusatorie dei pubblici ministeri: dogmi religiosi che è blasfemo pensare di poter discutere. L’attacco ad hominem nei confronti della mia persona prescinde completamente – e anche questo era prevedibile – dagli argomenti sviluppati nel mio saggio pubblicato sulla rivista Criminalia, e ripubblicato sul Foglio del primo giugno: sono sicuro che egli non l’ha letto, considerandolo aprioristicamente prodotto intellettuale inaffidabile di un azzeccagarbugli filomafioso.
D’altra parte sono sicuro che, se Travaglio avesse la pazienza di leggermi, finirebbe egualmente per non capirmi a causa dei pregiudizi e delle ossessioni intellettuali di cui è vittima. Esercitare la ragione critica non è certo il suo forte. Pertanto, più che prenderlo sul serio come pensatore, mi limito a divertirmi quando la sua penna riesce a essere stilisticamente davvero brillante.
L’ampia partecipazione di persone al recente dibattito palermitano testimonia un bisogno diffuso di fare maggiore chiarezza e di discutere, non solo sugli aspetti giuridici, ma, ancor prima, su quelli storico-politici sottostanti alla cosiddetta trattativa. Il prevalente approccio dei media, troppo semplificatorio e spesso pregiudizialmente schierato, non ha certo contribuito a soddisfare quel bisogno di lettura approfondita degli eventi, avvertito da tantissime persone non intruppate nelle due opposte tifoserie pro e anti giudici: contro la violenza delle interpretazioni a senso unico, si comincia a sentire la necessità di un dibattito autentico, sorretto da reali competenze.
Come è emerso dal confronto stimolato dal mio saggio, a dover essere discussa e approfondita non è soltanto la debole impostazione giuridica della procura. Più in generale, lo storico Salvatore Lupo ha affrontato da par suo il problema della ricostruzione storica del ricorrente fenomeno delle trattative mafia-Stato, che è in realtà molto più complesso e sfaccettato di quanto i pubblici ministeri palermitani non ritengano.
Ancora, ai pubblici ministeri sembra essere sorprendentemente sfuggito un grossissimo problema di ordine costituzionale e giuridico-istituzionale attinente alla divisione dei poteri: la tutela della sicurezza collettiva, in frangenti drammatici di ripetute aggressioni alla vita dei cittadini (come, appunto, nel caso delle stragi del ’92-’93), spetta in primo luogo al potere esecutivo, e la eventuale scelta politica di fare qualche concessione ai poteri criminali non è sindacabile giudiziariamente. In contesti di questo tipo, la magistratura può intervenire soltanto a posteriori per sanzionare eventuali azioni criminose commesse da soggetti pubblici.
Ma il problema è proprio questo: nella vicenda Stato-mafia in atto pendente presso la Corte di assise di Palermo, agli occhi di non pochi giuristi (quei “tromboni” che Travaglio critica dall’alto della sua improvvisata scienza penalistica!), la procura non è finora riuscita a prospettare una forte e credibile impostazione accusatoria. Con tutto il rispetto per un valoroso magistrato come Piergiorgio Morosini, l’avere egli disposto il rinvio a giudizio – diversamente da quanto Travaglio presume – è ben lungi dal costituire infallibile smentita di una contraria tesi professorale. Evidentemente, al “neo-giurista” Travaglio questo dato è ignoto, forse perché troppo complicato. Oppure gli conviene rimuoverlo?
Sarebbe auspicabile nel nostro paese mettere una buona volta fine ad un giornalismo così superficiale, aggressivo e schierato per verità di fede. I suoi effetti perniciosi, oltre a danneggiare la causa della giustizia, contribuiscono a rendere ingestibile il conflitto politico, incrementando per di più la già grave ignoranza giuridico-costituzionale della maggior parte dei cittadini.
P.S.
A riprova della approssimazione di Travaglio, non solo come improvvisato giurista, ma anche come giornalista sedicente esperto di fatti, mi preme mettere in evidenza un suo errore: sono stato non pochi anni addietro candidato alle primarie, non per il comune di Palermo come lui riferisce, bensì per la presidenza della provincia. Aggiungo che faccio l’avvocato in una accezione che a Travaglio sfugge: non a difesa di Mannino, Mori o di qualche mafioso, ma di una entità che solevasi definire Diritto. Per non parlare della libertà di pensiero e del rispetto del pluralismo intellettuale. Che ambigua eterodossia!
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08 Luglio 2013, 07:00