Troppe querele, chiude Telejato |Quando l’antimafia impazzisce

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04 Aprile 2017, 19:41

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PALERMO – Telejato chiude. L’annuncio lo ha dato la stessa emittente con un’amarissima nota pubblicata oggi sul sito della Tv. Sommersa da querele e azioni legali, la televisione di Partinico che tra l’altro denunciò le anomalie nella gestione dei beni confiscati alla mafia sta valutando di mollare. È davvero la fine per la creatura di Pino Maniaci, il paladino dell’antimafia caduto nella polvere per le accuse di estorsione che lo vedono imputato a Palermo? C’è da augurarsi che non sia così. Una voce che si spegne è sempre una perdita. E quando a spegnersi è una testata fuori dai potentati editoriali, che per di più agisce su un territorio difficile, la perdita è doppia.

Ma la vicenda di Telejato, inclusa la nota intrisa d’amarezza con cui Maniaci sembra volere accomiatarsi dal suo pubblico, offre lo spunto per una riflessione più ampia. Che riguarda il giornalismo, l’antimafia e l’uso più o meno legittimo della querela. Che, va detto senza giri di parole, può anche diventare uno strumento temerario che può servire a intimidire e imbavagliare voci scomode.

Al contempo, però, la vicenda di Telejato, si intreccia con quella umana e giudiziaria del suo fondatore. Con certi suoi eccessi e con le ombre dei reati a lui contestati dalla procura, addebiti che Maniaci ha sempre respinto con forza protestandosi innocente. Il caso di Telejato si presta, in questo suo drammatico epilogo, a una riflessione sul lessico e sullo stile di una certa antimafia. Sui suoi eccessi, su certe accuse iperboliche che non sempre camminano di pari passo a denunce circostanziate. Sul sospetto che da anticamera della verità può trasformarsi in salotto buono del processo sommario.

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Sulle parole come pietre lanciate con disinvoltura, sul modus operandi dei comunicatori ammantati da una coperta legalitaria che ha illuso i suoi aedi di un diritto all’impunità a fronte di mascariamenti d’ogni sorta. Marchi d’infamia, sentenze mediatiche definitive di colpevolezza vergate senza troppa prudenza. Quella prudenza il cui sapiente dosaggio, nel denunciare guasto e malaffare, è ingrediente irrinunciabile per un giornalismo corretto.

Il rovinoso impazzimento tutto interno alla galassia antimafia a cui si è assistito negli ultimi anni tra scandali, sputtanamenti e anatemi, ha forse contribuito a innalzare i toni, sempre più aspri, del dibattito. Ma non sempre chi grida più forte ha ragione. È probabile che questo impazzimento abbia offerto il fianco all’exploit di querele e azioni legali, più o meno fondate, di cui parla la nota di Telejato. La cui vicenda offre un ulteriore ammonimento da contrappasso dantesco, già sperimentato da altri campioni o ex campioni dell’antimafia: la retorica legalitaria sopra le righe può ritorcersi contro i suoi stessi cantori, come sta dolorosamente sperimentando sulla sua pelle lo stesso Maniaci.

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04 Aprile 2017, 19:41

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