U babbu mi faciva recapitari | i pizzini, persino i papelli

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04 Febbraio 2010, 16:12

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di Diego Gabutti

‘U babbu gli faciva recapitari i pizzini, talvolta persino i papelli, ma lui ignorarne il contenuto doveva. Trattavano di cose che i carusi non devono sapere.
Bernardo Provenzano, vice di Totò Riina nella Cupola mafiosa, ritirava il pizzino, lo leggeva con aria assorta, meditava a occhi socchiusi il messaggio, poi pizzicava il picciotto in calzoni corti sulla guancia, gli offriva magari una pasticedda e infine lo rimandava a casa talvolta a mani vuote, talaltra con un pizzino (quando non addirittura con un papello) di risposta. «Questo è per papà tuo», diceva Provenzano, e si raccomandava: «Non te lo devi pèrdiri, picceriddu, ah». Lui, Massimo Ciancimino, tornava a casa senza neppure fermarsi un momento ai giardinetti per biveri una granatina al chiosco dei gelati, o per giocare un po’ con gli amici. No, il giovinetto filava dritto a casa col pizzino o col papello. «Babbo», chiamava entrando in casa agitando il pizzino, «posta per te c’è». Vito Ciancimino usciva dal salotto con una coppola in testa e la lupara a tracolla. «Mica l’avrai letto?» chiedeva con uno sguardo terribile, da imputatu per omicidiu. «No, babbo», rispondeva il giovane Ciancimino con voce squillante, «i carusi non devono sapere». «Sì, meglio per iddi e per tutti», chiosava istruttivo papà. E citava cupamente tra sè l’antico proverbio: «Ognunu è patruni di pulizziarisi ‘u culu c’un corpu di lupara».
Niente sapeva Ciancimino jr (un’e mail vivente) del contenuto di pizzini e papelli. Non a mani nude ma con i guanti di plastica, come un chirurgo, maneggiava i messaggi. Recapitava pizzinogrammi e papellogrammi di corsa ma senza fare domande. Era una precauzione elementare, come si legge nei romanzi gialli e di spionaggio: meno cose sai, meno ne puoi rivelare agli sbirri, o agl’inquisitori del controspionaggio sotto tortura.
A megghiu parola è chidda ca nun si dici. Tornato a casa, lui e papà facevano una fotocopia del pizzino, poi bruciavano sia l’originale e infine buttavano i guanti che maneggiatu l’avevano.
Tuttavia era impossibbili che qualche piccola rivelazione (un nome, un fattu, una farfanteria) non filtrasse dai discorsi a bassa voce che il giovane Ciancimino ascoltava in casa. Se anche ‘u muru tiene orecchie, figurarsi un giovane postino come lui (che porta magari gli occhiali, e dunque non ci vede benissimo, ma sentirci ci sente, l’udito è bonu, bonissimu). Che cosa filtrava dunque fino a iddu? Eh, filtravano cose, circostanze, anche profili sfumati di persone: “Franco”, per esempio, l’agente segreto al quale Provenzano e Ciancimino vinnitteru il pòviru Totò Riina. E poi l’esistenza d’un Grande Architetto, di cui Ciancimino sr, muto come ‘na crozza supra lu cannuni, “non fece mai il nome”, neppure nel sonno, o in ospedale sotto anestesia. Ma era lui, il Grande Architetto, che suggeriva a Totò Riina le stragi, insistendo perché ne organizzasse un’altra, e un’altra ancora, quando il boss, dopo l’ennesima esplosione, era ormai stufo di piazzare bombe da tutte le parti. Megghiu saccheggiare le risorse pubbliche, protestava ‘u bossu dei bossès. Abbiamo già da badare al traffico di droga. Basta stragi, travagghiare dobbiamo.
Ma il Grande Architetto duro: no, ancora una strage, poi basta, fallo per me, in amicizia. E il povero Riina, sempre troppo buono, cedeva alle preghiere. Ecco, di queste poche cose il caruso era a conoscenza.
Ah, no. Ce n’erano anche un altro paio. Due cose, soprattutto, erano filtrate fino a lui. Prima cosa: che Provenzano, negli anni settanta, aveva consigliato a patre suo d’investire i soldi della mafia nei cantieri di Milano 2, mettendoli a disposizione d’un amico degli amici, Silvio Berlusconi.
E seconda cosa: che l’abbreviazione “sen.”, nei papelli e nei pizzini che si scambiavano i due compari, stava un po’ per Giulio Andreotti e un po’ per Marcello Dell’Utri. Di Dell’Utri babbu non aveva una buona opinione. Iddu ne era, anzi, un po’ geloso, diciamolo, perché si era sentito “scavalcato” dal “sen.” di Forza Italia e primo scudiere del Cavaliere nel suo ruolo di consigliori politico.
Guarda la straordinaria coincidenza: Ciancimino jr, tra tutte le cose di cui poteva venire a conoscenza, il nome di qualche trafficante di droga, oppure l’esistenza d’un conto svizzero riconducibile ai capi dei capi, è proprio delle liaison con Dell’Utri e col Grande Architetto_ pardon, con Silvio Berlusconi che sa tutto e di più. Che bazza per i coraggiosi magistrati, che mai e poi mai se lo sarebbero aspettato!
Proprio vero che ‘a furtuna agli audaci bacia le mani?

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(da italiaoggi.it)

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04 Febbraio 2010, 16:12

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