Ultima notte, così è morta la Fiat

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24 Novembre 2011, 09:57

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Immaginiamo il peso doppio dell’ultima macchina della Fiat di Termini Imerese. Immaginiamola per le strade, col suo carico leggero e con la sua parte pesante. Con dei bambini nel sedile posteriore, lievi. Con l’ultimo sudore dei lavoratori sulla carrozzeria, un olio denso, incancellabile. Le meccanizzazione dei profitti non ha cancellato la fatica. Semplicemente, presti i tuoi occhi a un computer. Gli presti le pulsazioni del tuo cuore. Gli concedi l’argano dei tuoi nervi. Non sollevi materiale immane. Ci pensa il robot per te. Fai di più. Regali te stesso al meccanismo. Ti unisci al battito tecnologico, finché non distingui il tessuto umano. Torni a casa e scopri di possedere dei pistoni unti invece dell’anima.

Ecco perché la sofferenza degli operai di Termini non fa soffrire nessuno che non sia nella cerchia degli sciagurati sbalzati da una culla di garanzia a un roveto di incertezze. Non sono più gli esseri umani a perire simbolicamente nella guerra dell’economia. Muoiono le cifre, sventrate dalla baionetta di numeri più grandi. Annegano gli automi, le macchine che siamo diventati.

Non ci siamo trasformati subito. La nostra Matrix è stata costruita minuto dopo minuto. Abbiamo ammassato corpi, destini, sentimenti in capsule refrigeranti e ossigenate, sperando vanamente che non appassissero. Noi stessi siamo diventati l’involucro di metallo. La distinzione fra vittime e carnefici è una sciocchezza. Un’anomalia. I desideri, i sogni, gli ideali non contano più. Il lavoro rende liberi, c’era scritto all’ingresso del campo. Oggi siamo liberi, spogli perfino di un tenero sentimento di condivisione.

Ma guardiamola con speranza e malinconia l’ultima piccola Fiat di Termini che si allontana nella notte con le sue luci accese. Guardiamola e riconosceremo in lei, forse, un po’ degli uomini che siamo stati.

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24 Novembre 2011, 09:57

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