Un nuovo porto del Mediterraneo | Palermo, il progetto Hub FOTO

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24 Luglio 2018, 20:01

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PALERMO – Una piattaforma sul mare da 200 ettari, collegata alla costa, che potrebbe far diventare Palermo uno dei porti più grandi del Mediterraneo con 16 milioni di container l’anno e incassi per lo Stato da 15 miliardi di euro. E, tutto intorno, ormeggi per barche, campi sportivi, aree verdi, ristoranti ma anche uffici e parcheggi. Il faraonico progetto del “Porto Hub” prende forma e, dopo le anticipazioni di stampa, oggi è stata la volta della presentazione ufficiale a Palazzo d’Orleans con il governatore Nello Musumeci, del presidente dell’Ars Gianfranco Micciché e del sindaco di Palermo Leoluca Orlando.

Un’ipotesi targata Eurispes, il centro di studi guidato da Gian Maria Fara ma il cui dipartimento per il Mezzogiorno è affidato all’ex ministro Saverio Romano, che promette di riqualificare l’intera costa sud palermitana ma soprattutto di far diventare il capoluogo uno dei principali porti d’Europa. Il tutto al costo di cinque miliardi di euro, creando 435mila posti di lavoro e con cantieri che, ottenute le autorizzazioni, durerebbero solo tre o quattro anni.

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Il progetto parte da un’idea di fondo: il raddoppio del canale di Suez ha moltiplicato i traffici di merci nel Mediterraneo e ad oggi l’Italia, pur essendo al centro del bacino, non ha strutture in grado di intercettare i flussi che si dirigono altrove, per esempio a Rotterdam. “Palermo è ideale perché si trova al centro del Mediterraneo, è una soluzione più congeniale di Gioia Tauro – ha spiegato il progettista, Giovan Battista Rubino – L’attuale porto non è utilizzabile, ma il golfo di Palermo è ampio”. Da qui la proposta di una grande piattaforma all’altezza della Bandita che ospiterebbe gru di ultima generazione e milioni di container, formando così una sorta di baia artificiale dove poter ormeggiare 200 imbarcazioni e praticare sport acquatici; la costa sarebbe ridisegnata con spazi verdi, un nuovo ponte sull’Oreto all’altezza dell’Ecomuseo, un anfiteatro sul mare, spiagge attrezzate e poi, oltre via Messina Marine, cento ettari di retroporto dotati di hotel, residence, parcheggio multipiano e 8 mila metri quadrati di uffici.

Un retroporto che costituisce anche il perno economico dell’operazione: secondo i dati di Confetra, la Confederazione italiana dei trasporti e della logistica, c’è una differenza fondamentale tra “lavorare” un container e non farlo. In pratica, se un porto funge solo da punto di passaggio, come avviene oggi a Palermo per esempio, per ogni container il fatturato è di 300 euro e l’incasso per lo Stato di 15, mentre per mille container si creano cinque posti di lavoro. Ma se i container vengono “lavorati”, il fatturato schizza a 2900 euro, i posti di lavoro a 42 e il beneficio per lo Stato a 1450 euro. E la piattaforma e il retroporto servirebbero proprio a poter lavorare i container nel capoluogo, da qui la proiezione di 435.200 occupati in più e di utili che, a regime, per il gestore sarebbero di 2,5 miliardi e per il pubblico (Stato, Regione e Comune) di 15 miliardi, considerando 16 milioni di container (contro i cinque di Valencia, i tre di Gioia Tauro e i due circa dei porti di Barcellona e Genova).

Ma chi pagherebbe i cinque miliardi che servono a finanziare la grande opera? “Agli enti pubblici non si chiederebbe nulla”, precisano dall’Eurispes. Secondo l’Istituto, infatti, ci sarebbero grandi gruppi internazionali pronti a puntare sul progetto. Del resto, secondo le previsioni, portare un container a Palermo, anziché a Rotterdam, farebbe risparmiare cento euro di solo carburante.

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“E’ un’opera suggestiva – ha ammesso il governatore Musumeci, che a Palazzo d’Orleans ha fatto gli onori di casa -. Mentre il Mediterraneo si evolve e diventa un mare di scambi, la Sicilia non riesce a intercettare i flussi che apporterebbero ricchezza al nostro territorio. Sin dal nostro insediamento siamo al lavoro per individuare le infrastrutture capaci di renderci competitivi, entro dicembre avremo un quadro completo e poi passeremo alla fase progettuale”. Il governo ha annunciato un confronto con le università ma anche con le Autorità portuali nell’ambito delle Zone economiche speciali, all’interno della cui progettualità dovrà inserirsi anche il porto Hub; entro dicembre potrebbero arrivare le prime risposte.

L’iter però prevede più passaggi. Eurispes si è limitata alla redazione del progetto iniziale, adesso toccherà agli investitori farlo proprio e chiedere le autorizzazioni: servirà il disco verde del ministero delle Infrastrutture, poi si passerà alla valutazione degli enti locali. Di nomi non se ne fanno ma non è un mistero che Confitarma, la Confederazione nazionale armatori, abbia apprezzato la proposta.

Il progetto però non ha mancato di suscitare, sin da subito, le proteste degli ambientalisti e di Sinistra Comune. Giusto Catania questo pomeriggio era in platea, così come lo erano i consiglieri comunali Paolo Caracausi e Fabrizio Ferrandelli; ma la sala Alessi era piena e con numerose persone in piedi, mentre vari assessori (tra cui Armao, Cordaro, Turano e Lagalla) hanno fatto capolino. Eurispes però rispedisce ogni critica al mittente: “E’ una proposta rispettosa dell’ambiente – ha assicurato il presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara –. Opere di queste dimensioni comportano necessariamente anche la messa in sicurezza del territorio. Noi abbiamo dato un contributo alla Sicilia, ma adesso passare alla fase realizzativa non dipende da noi”. Eurispes punta tutto sulla riqualificazione della costa, che costituirebbe la contropartita per la città (oltre ai posti di lavoro): “Il settore pubblico non ha i fondi per riqualificare il litorale sud – ha aggiunto Rubino – o lo farebbe a pezzi. Così, invece, ci sarebbe un intervengo organico e la piattaforma sarebbe a 300 metri dalla costa”. “L’opera cambierebbe la città, ma la metterebbe al centro del mondo come è successo per Rotterdam o Tangeri”, ha precisato Nicola Piazza del comitato scientifico.

Le parole più attese, però, erano quelle del sindaco Orlando. “Esprimo grande apprezzamento per il metodo usato – ha detto il Professore – Si tratta infatti solo di una ipotesi su cui si possono fare valutazioni. Partendo dal presupposto che Palermo ha bisogno di infrastrutture immateriali e materiali, bisogna considerare che il consiglio deve approvare il nuovo Piano regolatore e perfezionare quello per l’uso del demanio marittimo, rafforzando il rapporto della città con il mare e valorizzando la costa sud. Dire sì o no, in questo momento, sarebbe irrispettoso: adesso inizia semmai un confronto che affronterò in modo laico ascoltando e ponderando, evitando il populismo culturale che vuole il cambiamento subito e senza contrasti. Ma è evidente che un’opera come questa coinvolge il governo nazionale e l’Europa”.

”Palermo è la prima città cablata d’Italia ed è la Cupertino del nostro Paese – ha concluso Romano – Dobbiamo attrarre investimenti e tornare centrali nel Mediterraneo. Non è pensabile che lo sviluppo passi solo da Genova, le forze politiche devono avere la forza e l’orgoglio di rivendicare il ruolo di Palermo e della Sicilia”.

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24 Luglio 2018, 20:01

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