16 Novembre 2015, 12:33
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Palermo è un labirinto di meraviglie. Provo un certo fastidio quando qualcuno mi chiede: «cosa devo vedere a Palermo?». La città esprime una bellezza senza limiti. Non ci sono cose maggiori o minori. Potrei dire il castello di Maredolce, la delizia araba alla Favara che si viene lentamente recuperando. Potei dire l’Orto botanico; la Palazzina Cinese, la Zisa, la Cuba, porzioni mirabili di un paradiso perduto.
Da quelle grandiose reliquie potremmo passare ad altre d’epoca più recente, superstiti dopo la mattanza mafiosa che ha abbattuto le circostanti ville liberty. Eminente, con i suoi arredi, è Villa Igea, dove l’ultima volta dormì Jorge Luis Borges. C’è il museo archeologico, che si procede lentamente a restaurare, con le animate metope di Selinunte.
Ma ciò che è essenziale vedere e rivedere, e dice di un mondo di bellezza e silenzi, e di una integrità preservata, prepotentemente simbolica, è la più parlante immagine della pittura italiana: l’Annunciata di Antonello da Messina in Palazzo Abatellis. Se la Sicilia potesse avere un volto esso sarebbe questo, una donna cristiana, la madre di Dio, chiusa in un velo che non è diverso da quello che nasconde il volto delle donne musulmane. Una donna bella e sensuale, e insieme determinata, decisa, pronta alla responsabilità più alta. Maria non guarda l’angelo, lo sfida. Sa già quello che lui intende chiederle, e ha già risposto. Con una mano lo allontana e lo sospinge lì, dove stiamo noi; con l’altra chiude il velo, non per pudore ma per proteggere il bene che porta dentro, nel suo seno. Non è pia, non è devota, nemmeno a Dio: è pienamente madre. Tutto ciò che l’angelo doveva dirle è, con lui, dentro di lei.
Antonello avrà ricordato sua madre, avrà pensato a una, tanto ideale quanto reale, donna siciliana, amata, vagheggiata. Certo, dopo di lui, la Sicilia è la sua Annunciata. Bellezza e mistero. Portandoci dentro la sua anima ripensiamo a Costanza d’Altavilla, il cui spirito vivente è nel mirabile sarcofago della Cattedrale. Pensiamo alle sorelle dell’Annunciata di Francesco Laurana e al Trionfo della morte di Palazzo Sclafani, conclamata, e anche più drammatica, prefigurazione di Guernica di Picasso. Ed è intollerabile vittoria della morte anche l’occhio cieco sull’altare dell’Oratorio di San Lorenzo dove, fino al 1969, stava la Natività di Caravaggio, rapita e umiliata dalla mafia che, se non l’ha distrutta, la mortifica nel suo corpo in qualche luogo sordido, mentre lei abita, come una regina, la nostra mente.
Resta, percepibile e inquietante, l’assenza di quest’opera; e dolenti ne rimpiangono la scomparsa i bambini scapigliati e le eleganti virtù di Giacomo Serpotta, animati sulle pareti. Stanno lì, a farsi guardare e a guardarci, come a una festa improvvisamente interrotta da un lutto, prigionieri come nell’Angelo sterminatore di Buñuel, e in attesa che, forte e coraggioso com’è, Caravaggio si liberi e ritorni a casa.
Oggi in streaming, alle 12.30, per tutti i lettori di Livesicilia, l’intervento di Sgarbi al teatro Politeama.
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16 Novembre 2015, 12:33