20 Luglio 2020, 15:13
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PALERMO – “Stiamo facendo un processo su dei beni morti. Tanto vale confiscare tutto, malgrado siamo sempre stati certi delle nostre ragioni. Delle aziende restano le macerie e i debiti ”, dice provocatoriamente l’avvocato Rocco Chinnici. Provocatoriamente perché significherebbe capovolgere la sentenza di primo grado che ha ha dato ragione ai suoi assistiti, gli imprenditori Cavallotti di Belmonte Mezzagno, e dissequestrato il patrimonio, fra cui la Euroimpianti, la società che fece scattare il sospetto di infiltrazioni mafiose nel colosso Italgas.
Italgas fu affidata agli amministratori giudiziari dal collegio per le misure di prevenzione di Palermo presieduto da Silvana Saguto e composto da Lorenzo Chiaramonte e Fabio Licata, tutti imputati a Caltanissetta. Alcune settimane fa i quattro ex amministratori giudiziari della Italgas hanno presentato una richiesta di parcella da 120 milioni per un solo un anno di gestione, tra il 2014 e 2015. La decisione sulla liquidazione spetta ora al nuovo collegio delle misure di prevenzione, presieduto da Raffaele Malizia.
A presentare il conto sono stati l’avvocato palermitano Andrea Aiello, il commercialista milanese Luigi Saporito, l’ingegnere agrigentino Sergio Caramazza e il professore della scuola Sant’Anna di Pisa Marco Frey. Hanno applicato i paramenti delle nuove tabelle ed è venuto un conto salatissimo per un lavoro che, visto le sorte del giudizio di primo grado per la Euroimpianti, non sarebbe neppure dovuto iniziare.
L’Italgas infatti venne sottoposta a questa procedura a causa delle presunte infiltrazioni mafiose per via di alcuni sub appalti assegnati agli imprenditori, assolti in sede penale, ma sottoposti a una misura di prevenzione. Per recidere questi rapporti il collegio Saguto, su proposta della Procura della Repubblica, decise di sottoporre il colosso nazionale prima alla amministrazione di un comitato di saggi da loro scelti e poi al controllo giudiziario per tre anni. Il controllo giudiziario fu revocato dopo un solo anno nel 2016 dalla Corte d’Appello
L’anno scorso il Tribunale per le misure di prevenzione ha confiscato i beni ai fratelli Cavallotti ma ha dato ragione agli eredi. I loro beni sono stati tutti dissequestrati, vincendo una battaglia giudiziaria che va avanti dal 2011. “Fateci lavorare”, dissero in una intervista rilasciata a Livesicilia nel 2014, prima che scoppiasse lo scandalo delle Misure di prevenzione.
I fratelli Vincenzo, Salvatore Vito e Gaetano Cavallotti finirono sotto processo. Il reato di turbativa d’asta fu dichiarato prescritto, mentre arrivò un’assoluzione piena e nel merito dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo il collegio d’appello, non era stata raggiunta la prova della loro colpevolezza, ma erano emersi elementi che ne tracciavano la contiguità con i boss Ciccio Pastoia e Benedetto Spera, fedelissimi di Bernardo Provenzano, grazie ai quali avrebbero ricevuto alcune importanti commesse. Tanto bastò per sottoporli a misure patrimoniali e personali perché ritenuti “socialmente pericolosi”.
Tra le imprese finite sotto sequestro e poi confiscate c’erano la Comest e la Imet, citate nella corrispondenza di Provenzano per il pagamento del pizzo per i lavori di metanizzazione nei comuni di Agira e Centuripe. In un altro pizzino era Giovanni Brusca a scrivere a Provenzano per affrontare il tema della messa a posto dell’impresa dei Cavallotti che stava realizzando la metanizzazione a Monreale.
Finite sotto sequestro e in confisca la Imet e la Comest, i tre fratelli, secondo l’accusa, avrebbero dirottato i loro interessi sulle imprese intestate fittiziamente a figli e nipoti. Ed è questa impostazione che non ha retto l’anno scorso ed è arrivato il dissequestro.
Gli eredi dei fratelli Cavallotti sono rientrati in possesso delle imprese Euroimpianti plus, Tecno Met, Energy Clima Service, 3C Costruzioni, Eureka, Vmg Costruzioni e Servizi, Prorison e tutti i relativi beni aziendali. “La sola Euroimpianti ha debiti che superano i 10 milioni di euro, maturati durante l’amministrazione giudiziaria, ed è stata messa in liquidazione”, aggiunge l’avvocato Chinnici che compone il collegio di difesa assieme agli avvocati Salvino Pantuso, Patrizia Aucelluzzo, Luca Inzerillo e Saro Lauria. Ecco perché parla di un processo sui “beni morti”.
La Procura di Palermo ha fatto appello contro il dissequestro e oggi si è svolta l’udienza davanti alla Corte presieduta da Giacomo Montalbano nel corso della quale il legale ha ottenuto, contro il parere del sostituto procuratore generale, che il dibattimento venga registrato (c’è una richiesta in tal senso da parte di Radio Radicale).
Secondo l’avvocato, che ha convinto il collegio, c’è un interesse pubblico a conoscere la vicenda in maniera integrale, come per altro già avvenuto in primo grado: “Nel caso di specie, sussiste un interesse sociale alla conoscenza pubblica, avuto riguardo alla notorietà dei soggetti coinvolti (imputati), ai magistrati che hanno proceduto al sequestro nei confronti dei quali pende processo a Caltanissetta, al contenuto delle captazioni telefoniche e ambientali suindicate, al contenuto delle audizioni dinanzi alla commissione antimafia, all’interesse dei media che già hanno partecipato al giudizio di primo grado, alle questioni collegate a questo processo (liquidazioni amministratori giudiziari, sequestro Italgas, etc.)”.
In particolare si fa riferimento alle conversazioni fra Licata e Saguto. Licata avrebbe sollecitato il deposito della perizia sui beni “tanto oramai finiu ci confischiamo tutto”. “Certo, di corsa”, sottolineava Saguto. E Licata aggiungeva: “… è pure superflua, basta la perizia, ci dici la devono depositare perché è (inc.) con tutte le cose che sono venute fuori basta”.
Secondo i Cavallotti e la difesa, tanto basterebbe per dire che si era di fronte alla volontà di confiscare a prescindere dall’esito delle perizie. La vicenda Cavallotti faceva spesso capolino nelle parole di Silvana Saguito, che al colonnello della Dia Rosolino Nasca diceva: “Se ci annullano i Cavallotti per esempio, qua succede un casino. Abbiamo preso l’Italgas… Cavallotti è ancora ferma in Cassazione. Ed è la base da cui siamo partiti, quindi considera che cosa potrebbe succedere… quindi noi dobbiamo essere blindati”.
Ed ancora al professore Costantino Visconti spiegava che la vicenda Cavallotti era “la madre di tutti” i successivi sequestri. Sequestri che partendo dall’Euroimpianti arrivarono fino al colosso Italgas. Di quei sequestri nulla più resta. La Eurimpuianti e altri beni sono stati restituiti. Restano però i debiti, una parcella milionaria e il “pubblico interesse” a conoscere ogni passaggio della vicenda giudiziaria.
“Era un processo farsa, in cui l’esito era stato scritto all’inizio del processo. Altri giudici, leggendo proprio quella perizia, hanno invece revocato un sequestro che non doveva mai essere applicato. Non combattiamo per avere il nostro patrimonio. Non esiste più. Pretendiamo giustizia. Lo Stato deve avere il coraggio di ammettere i propri errori – dice Pietro Cavallotti -. Non ci fermeremo finché non avremo il riconoscimento giurisdizionale di una verità che è ormai evidente nei fatti.”
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