La mafia e il sequestro ai Cavallotti | I figli: "Fateci lavorare" - Live Sicilia

La mafia e il sequestro ai Cavallotti | I figli: “Fateci lavorare”

Il Palazzo di giustizia di Palermo

I loro padri sono gli imprenditori di Belmonte Mezzagno assolti per mafia, ma il cui patrimonio è stato sequestrato perché ritenuti "socialmente pericolosi". I due cugini chiedono di essere sentiti dalla Commissione nazionale antimafia che sta indagando sui presunti intrecci fra i Cavallotti e Italgas.

PALERMO – “La giustizia faccia il suo corso. Nel frattempo, però, dateci la possibilità di lavorare”. Pietro e Vito Cavallotti escono allo scoperto. Sono i figli di Salvatore e Gaetano, imprenditori edili di Belmonte Mezzagno, sul cui patrimonio – il provvedimento riguarda pure un terzo fratello, Vincenzo – si è abbattuta la scure del sequestro.

I fratelli Cavallotti in passato sono stati assolti dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa perché ritenuti vittime della mafia, ma sottoposti a misure patrimoniali e personali perché ritenuti “socialmente pericolosi”. Tra le imprese finite sotto sequestro ci sono la Comest e la Imet, citate nella corrispondenza di Bernardo Provenzano per il pagamento del pizzo per i lavori di metanizzazione nei comuni di Agira e Centuripe. In un altro pizzino era Giovanni Brusca a scrivere a Provenzano per affrontare il tema della messa a posto dell’impresa dei Cavallotti che stava realizzando la metanizzazione a Monreale. Finite sotto sequestro la Imet e la Comest, i fratelli avrebbero, secondo l’accusa, dirottato i loro interessi sulla Euro Impianti, non figurando in prima persona, ma intestandola ai figli. Dal 2011 anche la Euroimpianti è in amministrazione giudiziaria.

Di recente il caso Cavallotti è finito all’attenzione della Commissione nazionale antimafia. Nel luglio scorso, infatti, i pubblici ministeri e gli uomini del Nucleo di polizia tributaria sono arrivati fin dentro l’Italgas, i cui dirigenti avrebbero continuato a fare affari con aziende riconducibili ai Cavallotti nonostante fossero al corrente dei guai giudiziari degli imprenditori siciliani. Da qui la decisione della sezione Misure di prevenzione di commissariare un colosso pubblico come Italgas, a tempo determinato.

Ora è proprio alla Commissione antimafia che i cugini Pietro e Vito si rivolgono: “Chiediamo di essere ascoltati per chiarire che i nostri genitori non hanno mai avuto nulla a che fare con la mafia. Piuttosto che essere state avvantaggiate illecitamente dalla mafia, le nostre imprese, negli anni ’80 e ’90, periodo della massima recrudescenza della mafia, sono state costrette a pagare il pizzo ed a subire danneggiamenti”.

Questa è l’unica, seppure accorata, parentesi che i giovani Cavallotti aprono sul merito delle indagini patrimoniali. Oggi sono altri i temi che gli stanno a cuore: “Si sono succeduti dei sequestri a cascata nei confronti di noi figli a cominciare dalla Euro Impianti per finire con società che neppure operavano nel settore della metanizzazione e che si occupavano esclusivamente di progettazione. Eppure sono state sequestrate. Le abbiamo create noi. Cosa dobbiamo fare? Andare all’estero per lavorare? In Italia ogni nostra iniziativa viene stoppata perché ogni volta viene ricondotta ai fratelli Cavallotti. Nessuno si sogna di assumerci per paura di ritorsioni da parte della autorità giidiziaria. Nessuno ci fa più un prestito. Non crediamo che tutto ciò sia corretto. La nostra unica colpa è quella di essere figli di persone che sono state assolte dalla infamante accusa di mafia. Siamo assolutamente lontani dalla logica mafiosa della prevaricazione e della violenza. I nostri genitori hanno sempre avuto fiducia nella giustizia e anche noi continueremo ad averne”.

Al di là del merito processuale si proiettano anche le parole del legale, l’avvocato Rocco Chinnici: “Ci difenderemo nel processo come abbiamo sempre fatto. Eravamo convinti della estraneità alle accuse in sede penale e lo siamo anche in sede patrimoniale. Il problema oggi è un altro. Siamo di fronte ad interi gruppi familiari che non riescono più a lavorare”.

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