“Valeria uccisa dalla chemio” | Il medico si difende

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04 Maggio 2015, 18:33

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PALERMO – “Chiunque poteva accorgersi che 90 milligrammi di Viblastina era una dose che non si poteva fare”. Alberto Bongiovanni si difende al processo per la morte di Valeria Lembo, uccisa da una dose killer di farmaco antitumorale. L’anno del decesso, il 2011, Bongiovanni era specializzando nel reparto di Oncologia al Policlinico di Palermo, mentre oggi fa l’oncologo a Forlì. Fu lui a cancellare il numero zero accanto al nove nella cartella clinica che portò alla somministrazione mortale.

Sarebbe stato un posticcio e maldestro tentativo di mascherare un incredibile errore? In realtà Bongiovanni non fa mistero della cancellatura: “Sono stato io, ritengo di averlo fatto il 23 novembre. Rileggo la prescrizione e la cartella, mi accorgo della discrepanza e cancello l’errore”. Dunque, nessun tentativo, a suo dire, di taroccare la cartella: “ La cancellatura era chiara, evidente e poi 90 milligrammi non è una somministrazione contemplata e contemplabile”. “Avviso qualcuno di quella cancellazione?”, gli chiede il giudice Claudia Rosini. “No perché era evidente”, ribadisce l’imputato.

La colpa, dunque, non sarebbe stata sua. Bongiovanni tira in ballo Laura Di Noto, oncologa e allora specializzanda nel reparto diretto dal professore Sergio Palmeri, pure lui sotto processo. Era stata la Di Noto a dire in aula che “quando mi hanno chiamato dalla farmacia dell’ospedale per dirmi che avevano solo 70 mg del farmaco sono andata a controllare la cartella clinica, facendo attenzione, come da prassi, sia alla prescrizione del 7 dicembre che a quella precedente: erano uguali, sempre 90 mg. Così dissi che era tutto giusto, non mi vennero dubbi”. Ed ancora: “Palmeri mi disse di non dire nulla ai parenti. Non si doveva parlare del sovradosaggio né con i parenti della signora Lembo, né con altri medici. Dovevamo dire che era una gastroenterite. Lo stesso Palmeri mi disse di chiamare la signora per sapere come stava e consigliarle, eventualmente, di andare in ospedale”. Il 12 dicembre Palmeri avrebbe convocato la dottoressa Di Noto e Bongiovanni per parlare della falsificazione della cartella clinica. “Mi ricordo – aveva aggiunto la Di Noto – che il primario disse a Bongiovanni: ‘Da te non me lo aspettavo’. Ma lui negò ogni responsabilità”.

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Secondo Bongiovanni, le cose sarebbero andate in maniera diversa. Palmeri il 12 dicembre se la prese con la Di Noto (“Ricordo che le disse come c… hai fatto”) che, racconta Bongiovanni, “cercò di giustificarsi”. E lo zero cancellato dalla cartella clinica?: “Se ne parlò in generale, mi disse solo che le cancellature andavamo fatte in maniera diversa, cerchiando l’errore”. Eppure anche Gioacchino Mancuso, allora laureando in Medicina, disse di avere copiato la prescrizione interna, compreso il mortale numero 90, senza accorgersi di alcuna cancellatura.

In aula, ad assistere alla deposizione ci sono i parenti di Valeria, che si sono costituiti parte civile con l’assistenza dell’avvocato Marco Cammarata. Scuotono la teste ad ogni passaggio in cui Bongiovanni si difende. Lo stesso Bongiovanni che ha anche negato, a differenza di quanto sostenuto dalla Di Noto, la disorganizzazione del reparto. Ha parlato delle riunioni mattutine con il primario Palmeri per valutare la situazione dei pazienti. E, in assenza di Palmeri, con gli altri medici. Fatto sta che quei maledetti 90 milligrammi di Viblastina stroncarono la vita di Valeria, 34 anni, donna e mamma, durante una seduta di chemioterapia per curare il morbo di Hodgkin, una forma tumorale dalla quale è possibile guarire.

Sotto processo oltre a Palmeri, Di Noto, Bongiovanni e Mancuso, ci sono pure le infermiere Elena Demma e Clotilde Guarnaccia. Sono tutti accusati di omicidio colposo in concorso.

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04 Maggio 2015, 18:33

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