Call center, Almaviva non è sola | In ansia quasi ventimila famiglie - Live Sicilia

Call center, Almaviva non è sola | In ansia quasi ventimila famiglie

Un'immagine della manifestazione regionale del 28 gennaio scorso a Palermo

Commesse sfumate, cassa integrazione, esuberi: non solo Palermo, in Sicilia tutto il comparto soffre

CRISI DI SETTORE
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PALERMO – Diciottomila famiglie in bilico. Così si può riassumere il bilancio della crisi del settore call center in Sicilia, finita sulle cronache con l’emblematico caso di Almaviva Contact Palermo ma in rapida espansione verso altre realtà dell’Isola. Abramo, Covisian e Radio Call sono solo alcuni dei siti colpiti dal drastico calo dei volumi di chiamate che sta affliggendo il comparto, con conseguenze che vanno dai ritardi nel pagamento degli stipendi al concreto rischio di esuberi e licenziamenti. Con lo sciopero regionale del 28 gennaio scorso, i sindacati Slc Cgil, Fistel Cisl, Uilcom Uil e Ugl Tlc hanno dato una nuova spinta alla sensibilizzazione sul tema; sul piano istituzionale, però, dai diversi tavoli tecnici col governo centrale e quello siciliano non arriva ancora una ‘scossa’.

Gli aspetti che secondo i rappresentanti dei lavoratori minacciano i call center sono ormai noti: fra questi il continuo spostamento dei volumi da parte dei committenti verso paesi esteri dove il lavoro costa meno, l’assenza di un fondo strutturale per riqualificare gli addetti, ma anche l’impunità dei cosiddetti ‘sottoscala’, call center improvvisati dove non c’è monitoraggio in termini di regole e tutela dei dipendenti.

Il sito palermitano di Almaviva Contact è costantemente sotto la lente dei sindacati. “Una delle commesse più insidiose è quella di Sky – spiega Eliana Puma della Fistel Cisl – che continua a non ‘girare’ i volumi su Palermo. Così per febbraio Almaviva ha richiesto che i lavoratori usino due giorni di ferie da aggiungere all’ammortizzatore già in vigore: siamo arrivati a 10 giorni a casa su 22 giorni lavorativi, con un previsionale delle chiamate che è la metà di quello gestito a novembre. In poche parole – conclude – arrivano chiamate per la metà degli addetti”. Nel frattempo il 3 febbraio le segreterie regionali hanno incontrato Almaviva nella sede di Sicindustria, per tracciare un percorso che possa assicurare stabilità delle circa 3000 persone impiegate nel sito in vista della scadenza dell’attuale accordo di cassa integrazione fissata per il 31 marzo. E dato che il margine di tempo si assottiglia, il 5 febbraio le sigle hanno chiesto al presidente della Regione Siciliana Nello Musumeci un incontro urgente congiunto con Almaviva “per analizzare le misure e gli strumenti nella disponibilità della Regione che possano essere utilizzati a sostegno della vertenza del sito di Palermo”.

Quella di Almaviva è la vicenda più nota, ma non è la sola: di recente la crisi ha toccato anche altri protagonisti. Come Abramo, dove attualmente gli stipendi arrivano intorno al giorno 25 del mese anziché il 10: “un meccanismo simile alla ‘mensilità morta’ degli affitti – dice Puma – con cui l’azienda si tiene ‘in pancia’ praticamente una mensilità”; ai ritardi nei pagamenti si aggiunge la decisione di non prorogare i contratti a tempo determinato di 150 lavoratori del sito palermitano, a causa dell’ingente calo di volumi (fino al 70 per cento). Guai anche per Covisian, ex ramo di Fastweb con sede anche a Catania che ha dichiarato un calo di volumi e circa 200 esuberi a livello nazionale, e per la più piccola Radio Call Messina che ha perso le uniche due commesse in portafoglio.

“La crisi è strutturale – afferma Puma – e colpisce i player con popolazione a maggiore anzianità di servizio, perché hanno un maggiore costo del lavoro, ma d’altronde l’età media di tutto il comparto va dai 35 ai 55 anni. Se nei prossimi tre mesi non si raccolgono i frutti di interventi mirati, un migliaio di persone in Almaviva guadagneranno 350 euro al mese; poi sarà la volta di Abramo e via via di tutti gli altri”. Una “razionale agonia”, come la definisce il segretario regionale Uilcom Uil Giuseppe Tumminia, secondo cui il governo è “chiamato a garantire la sostenibilità sociale del settore attraverso una trasparente regolamentazione tra volumi, tariffe e occupazione, in assenza della quale l’intesa raggiunta sarà stata solo il preludio di una tragica sinfonia”.


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