"Vi racconto Nino Caponnetto | Di lui non parlano mai..." - Live Sicilia

“Vi racconto Nino Caponnetto | Di lui non parlano mai…”

Il ritorno a Palermo per la cittadinanza onoraria. Elisabetta Baldi Caponnetto, 'Nonna Betta', racconta quegli anni tremendi.

La vedova a Palermo
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PALERMO- Quasi si aggrappò al braccio del cronista che gli aveva appena domandato qualcosa. Stremato, come per reggere il peso delle parole che avrebbe pronunciato un attimo dopo. Spaventato da quelle stesse parole, dalla sentenza che lui, uomo mite, stava consegnando in forma definitiva: “E finito tutto”. “Perché è finito tutto, dottore Caponnetto?”, il giornalista quasi implorava un filo di luce, uno spiraglio. Il padre del pool antimafia annaspò: “Perché… Perché… Non mi faccia dire altro”. Sullo sportello di un’auto in fuga che si chiudeva davanti al microfono, moriva la fiducia di Nino Caponnetto, padre del pool antimafia. Moriva ancora una volta la speranza dei palermitani onesti. La mafia aveva appena bissato, con l’eccidio di via D’Amelio, la strage di Capaci. I nemici di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino si sarebbero presto iscritti al club postumo “Amici di Giovanni e Paolo”. Lì sarebbero rimasti, nelle giravolte dell’antimafia stracciona e carrierista che ha strangolato in culla l’antimafia della retta coscienza.

E’ finito tutto. Ventidue anni dopo, la professoressa Elisabetta Baldi, vedova di Nino Caponnetto, torna a Palermo per ricevere la cittadinanza onoraria. Non chiamatela “professoressa”, però, vi rimprovererebbe con un sorriso a metà tra la tenerezza e lo scherzo. Chiamatela piuttosto ‘Nonna Betta’, come la chiamano i ragazzi che la interrogano, in ogni scuola d’Italia, per saperne di più sulle stragi, su Falcone e Borsellino, sugli uomini normalmente straordinari, assassinati all’apice del risveglio di Palermo. Un ordine del giorno di Francesco Bertolino, consigliere comunale con la testa felicemente dura, è stato approvato da Consiglio di Palazzo delle Aquile. Di conseguenza, oggi sarà il sindaco Leoluca Orlando a conferire la cittadinanza.

Elisabetta è una vecchia e bellissima signora, Si aggira in via Principe di Villafranca, nella sede del comitato ‘ParteciPalermo’, invitata da Bertolino, trasognata e felice. Osserva, appese alle pareti, le foto di ‘Nino’. Negli occhi le scorrono pezzi di cose intrecciate, nell’incastro della memoria. Ogni tanto su un ciglio brilla qualcosa. Forse è una lacrima. Ventidue anni di botole, segreti e dolore si sono chiusi con un clic. Il comitato ha organizzato una chiacchierata che prevede la partecipazione di Rita Borsellino, sorella di Paolo.

La prima pietra da lanciare è urgente. E scontata: “Nonna Betta, quando tuo marito disse che era finito tutto, parlava sul serio, ne era convinto?”.
“Preferisco raccontare della dolcezza di Nino. Era una persona piena di romanticismo, anche se non sprecava troppi discorsi. Era speciale, sensibile, intelligente. Non ne parlano mai, non lo ricordano più. A Palermo, durante il suo periodo in trincea, teneva sul comodino ‘Le confessioni di Sant’Agostino’. L’ho conosciuto durante il bombardamento di Pistoia, nella Seconda Guerra Mondiale. Venne alla porta per aiutare me e la mia famiglia. Lo vidi e rimasi fulminata. Ho fatto tutto per lui. Mi sono laureata in Fisica grazie a lui. Sono una donna normale. Non conosco tacchi, creme o trucchi. Ho vissuto con questo splendido uomo, è il mio merito, non ne ho altri”.

Eppure, mentre la cronaca di un grande amore si illumina, si capisce che una parte consistente della meraviglia di Nino proviene da Betta ed è tuttora presente. I grandi amori si raccontano al presente. “Il ‘Nonno’ – così Elisabetta chiama suo marito – iniziò a tenere un diario a vent’anni. Scrisse che avrebbe avuto come guida l’onestà e la solidarietà. Si trasferì a Palermo, vivemmo da separati. Io aspettavo la sua telefonata quotidiana a mezzogiorno. Non mancava mai all’appuntamento. Pianse e si disperò per la morte dei suoi figli, Giovanni e Paolo. Poi si pentì di quella frase: non era finito niente. Poco prima di via D’Amelio, Nino incontrò Paolo Borsellino: ‘Paolo, ci si rivede la prossima volta’. ‘Sei proprio sicuro che ci sarà una prossima volta?’. Si abbracciarono con una stretta tanto intensa da farsi male”.

Anni profondissimi. Un pozzo nero di anni. La bellissima signora, che non ha smesso di governare la sua campagna toscana alla sei del mattino, nonostante la nota a margine dell’età segni un numero cospicuo, li ha attraversati con il coraggio dell’eroismo quotidiano: “E quando Nino è tornato a casa, da me, ci siamo stretti. Ero contenta di averlo per me, con me, in ogni momento”.

Tocca a Rita Borsellino ricucire: “E’ vero, Nino ha successivamente dimostrato che le sue parole scaturivano da un momento di disperazione. Per anni è stato un testimone di speranza, un messaggero di giustizia, con tanti incontri nelle scuole, insieme a Nonna Betta. E i ragazzi lo stavano ad ascoltare a bocca aperta. Sì, mio fratello era a conoscenza della sua fine imminente. Esercitava, in quei giorni terribili, un distacco disumano dai suoi familiari, per abituarli all’assenza. Una sera rientrò a casa e trovò me e la mamma. Un bacio fuggevole. Lo rimproverai: ‘Mamma ci resta male, sei distratto’. Mi guardò con una espressione che non dimenticherò: ‘Davvero si nota così tanto?'”. Rita possiede ricordi tersi che saltano su in modalità random: “Paolo era appassionato di presepi. Gli piacevano moltissimo. Da bambini eravamo incantati dalla bravura di uno zio ingegnere che metteva pure l’acqua corrente. Da adulti ci sfidavamo in una gara per il presepe realizzato con più cura ed effetti particolari. Antonino Caponnetto, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino non sono sconfitti. Non lo sono, se Palermo deve fare ancora i conti con loro”.

Non sono sconfitti. Non è finito tutto. Ma non possiamo nemmeno dimenticare la viltà e l’ignavia. Gli articoli di giornale. I pezzi in cui si scriveva che con Falcone all’antimafia sarebbe stato meglio tenere a portata di mano il passaporto. Non possiamo dimenticare le maldicenze dei colleghi magistrati, perfino peggiori del chiasso della politica, perché ammantate di ipocrisia. I sedicenti progressisti che voltarono le spalle. I veleni nascosti nell’ombra contro Borsellino. Non dimentichiamo, non possiamo.

Però somiglia a una consolazione, a una boccata d’aria fresca, questa memoria che viene a salvarci, mentre Nonna Betta osserva trasognata le foto appese di Nino, con un luccichio sul ciglio. Forse è una lacrima. Forse è la dissolvenza di un raggio di sole in una sera d’ottobre al tramonto. Forse è il passo di qualcuno che ha aperto la porta, per tornare finalmente a casa. E non andare più via.


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