19 Luglio 2019, 17:06
3 min di lettura
PALERMO – È il primo anno, dei ventisette in cui si piange la morte di Paolo Borsellino, Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi, Claudio Traina e Vincenzo Fabio Li Muli, che la magistratura sta guardando al suo interno per capire davvero cosa non abbia funzionato nelle indagini sulla strage di via D’Amelio.
Il mese scorso si è saputo che i magistrati Annamaria Palma e Carmelo Petralia, due ex pm del pool che indagò sugli eccidi mafiosi, sono indagati dalla Procura di Messina. Il reato ipotizzato è concorso in calunnia aggravato dall’avere favorito Cosa Nostra.
Per tutti, anche per loro, vale il sacrosanto principio di non colpevolezza. I due magistrati avranno tempo e modo per difendersi, ma l’inchiesta del procuratore Maurizio De Lucia segna un punto di non ritorno. Il più grande depistaggio della storia, così è stato definito il falso pentimento di Vincenzo Scarantino, tale è stato perché, nella migliore delle ipotesi, la magistratura è stata distratta. Se dovesse emergere la peggiore delle ipotesi, in caso di dolo, diventerà materia da tribunale.
Oggi, ventisette anni dopo, ci si chiede se fosse necessaria l’inchiesta messinese per aprire gli occhi. Per interrogarsi sulle responsabilità storiche, prima ancora che penali, della magistratura. Sette persone sono state condannate ingiustamente all’ergastolo – Cosimo Vernengo, Gaetano La Mattina, Gaetano Murana, Gaetano Scotto, Giuseppe Urso e Natale Gambino – e scarcerate. E non basta per pulirsi la coscienza per i processi basati su castelli accusatori fragilissimi che qualcuno, mafioso ma non stragista, sia finito di nuovo in carcere. Quelle accuse hanno superato il vaglio dei giudici di tre gradi di giudizio e in più processi.
Tre poliziotti, guidati allora dal capo della Mobile di Palermo Arnaldo La Barbera, poi deceduto, sono sotto processo per il depistaggio. Fino allo scorso giugno le colpe erano tute interne alle forze investigative. Che hanno fatto e disfatto, senza che nessuno tra i magistrati si accorgesse delle fantasie dei collaboratori di giustizia (imbeccati?) che allontanavano dalla verità. C’è voluto il pentimento di Gaspare Spatuzza per fare capire quanto fosse improbabile che, ad esempio, la mafia decidesse di ammazzare Borsellino nel disinteresse dai potenti boss Graviano di Brancaccio.
Eppure altri magistrati, non solo gli avvocati degli imputati e in quanto tali liquidati come “di parte”, avevano invitato a diffidare di Scarantino. La sentenza del processo Ter, emessa dalla Corte d’assise di Caltanissetta allora presieduta da Carmelo Zuccaro, oggi procuratore di Catania, era stata lapidaria nel giudizio. Nelle motivazioni, scritte prima della sentenza d’appello del processo bis, si parlava di “dubbia attendibilità”, “parto della fantasia”, “dichiarazioni non genuine perché gravemente sospette di essere state attinte addirittura dalla stampa”. Non erano né in parenti di Scarantino, né i difensori degli imputati a scrivere che “delle dichiarazioni rese da Scarantino non si debba tenere conto per la ricostruzione dei fatti e la valutazione delle responsabilità in ordine alla strage di via D’Amelio”.
Eppure le valutazioni dei giudice della Corte d’assise non scalfirono le convinzioni dei pubblici ministeri del Borsellino bis, talmente convinti della bontà delle prove da proporre appello, seguiti poi dai procuratori generali, contro le assoluzioni di primo grado del bis. E così Murana da assolto si ritrovò ergastolano. Un ventennio dopo, nel 2011, quella sentenza sarebbe divenuta carta straccia.
L’inchiesta della Procura di Messina segna un punto di non ritorno. Si andrà oltre i “non ricordo” e i “non sapevo”, a volte imbarazzanti, dei magistrati chiamati a testimoniare nel processo Borsellino quater di Caltanisasetta chiuso con le condanne all’ergastolo per i boss Salvo Madonia e Vittorio Tutino e a dieci anni per calunnia dei falsi pentiti Francesco Andriotta e Calogero Pulci. Non si cercano colpevoli a buon mercato, a questo ci pensano i giustizialisti, ma la verità nient’altro che la verità. Per la prima volta, non c’è la sola Fiammetta Borsellino, figlia del giudice, a chiedere di indagare sulle responsabilità della magistratura, ma è la magistratura stessa che le sta cercando.
Pubblicato il
19 Luglio 2019, 17:06