"Vogliamo un milione di crocieristi | I nostri porti sono una ricchezza" - Live Sicilia

“Vogliamo un milione di crocieristi | I nostri porti sono una ricchezza”

Parla il presidente dell'Autorità portuale della Sicilia occidentale, Pasqualino Monti.

L'INTERVISTA
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9 min di lettura

PALERMO – “Palermo deve recuperare il suo rapporto col mare, capendo che il porto può produrre ricchezza e posti di lavoro, così come devono farlo Trapani, Termini Imerese e Porto Empedocle: per anni non è stato nulla, ora invece bisogna correre per rispondere ai mercati. L’obiettivo? Un milione di crocieristi l’anno”. E’ questa la previsione di Pasqualino Monti, da meno di un anno alla guida dell’Autorità di Sistema portuale del Mare della Sicilia Occidentale: un incarico delicato e impegnativo, specie per chi ha la famiglia a Civitavecchia e fa la spola con il capoluogo isolano. Nella sua stanza si susseguono incontri e riunioni ma il giovane manager, originario di Ischia e con una lunga esperienza nella Capitale, sembra avere le idee chiare sul futuro dei porti siciliani.

Quando è arrivata la nomina come presidente dell’Autorità portuale qui in Sicilia, cosa ha pensato?
“Era un’avventura completamente nuova e mi sono detto che dovevo anzitutto conoscere le condizioni dei porti. Ero stato a Palermo qualche anno prima, in occasione di un convegno, e purtroppo ho trovato il porto uguale a come lo ricordavo: una cosa che mi ha colpito negativamente. La mia prima impressione era che piovesse, ma non potevo immaginare che c’era invece un diluvio”.

Cosa l’ha colpita in modo così negativo?
“Mi sono trovato davanti a una realtà totalmente squalificata, sia per infrastrutture che per strutture ricettive: all’inizio è stato imbarazzante. Però ho anche trovato, qui in Autorità, grandi risorse umane con cui ho il piacere di lavorare e di condividere un percorso”.

Lei è stato nominato il 28 giugno 2017, anche se operativamente ha iniziato questa avventura lo scorso settembre. Come sono stati questi primi mesi?
“Sono stati difficili, perché qui non c’è da costruire solo un porto ma anche una cultura portuale. Si è rimasti agli anni Settanta e lo dimostrano anche le strutture: in tutti i settori, dai traghetti ai Ro-Ro e alle crociere, la navi diventano sempre più grandi e hanno bisogno di fondali profondi. A Palermo abbiamo banchine alte dieci metri con un fondale che in alcuni punti tocca solo i nove metri e se draghiamo, cioè togliamo la sabbia, rischiamo che crollino le banchine. A Termini Imerese c’è un fondale profondo cinque o sei metri, le navi non possono neanche entrare: inutile poi chiedersi perché non cresciamo. E’ mancata la progettualità: qui non possiamo passare alla realizzazione e alla messa a regime delle opere, ma dobbiamo partire dalla pianificazione e dalla progettazione. Chi guarda un porto dal di fuori, gli dà le spalle perché non sa nemmeno a cosa serve; ma chi ne conosce le potenzialità, sa che per rispondere a un’esigenza del mercato, e creare quindi economia e lavoro, bisogna avere determinate caratteristiche e un progetto. Se ho un’azienda, devo affrontare il mercato: questo non è un ente pubblico ma la mia azienda, mia e di coloro che vi operano, ma anzitutto dobbiamo capire cosa vogliamo farne”.

Come si recupera questo ritardo?
“In questi mesi è aumentata l’attenzione sul porto, il che si rivela un problema per i pochi che hanno altri interessi ma è invece importante per le persone per bene. Noi dobbiamo partire dall’interfaccia porto-città, far capire che il porto non è una servitù ma una ricchezza, è la porta d’ingresso a mare anche per il turismo e quindi deve essere connessa con la città che ha alle spalle. I palermitani hanno dimenticato, non per colpa loro, di avere un mare: siamo partiti proprio dalla riqualificazione di Sant’Erasmo per lanciare un segnale, per dire che vogliamo riqualificare i punti di interfaccia, il demanio non può essere gestito in modo inadeguato. Inoltre abbiamo avviato un concorso internazionale di idee sui terminal: qui non possiamo ragionare sul 2019 o sul 2020, ma sulla Palermo del 2050, su quello che faranno i nostri figli. Ci sono delle cose che vanno progettate e altre che è possibile fare subito, come l’abbattimento dei silos che occupano un’intera banchina con una struttura gigantesca che impiega tre operai. Se lì invece mettiamo un terminal, metà per le navi che trasportano mezzi e passeggeri e metà per le crociere, di persone ne occupiamo 80 o 100: il nostro obiettivo è creare economia reale e quindi occupazione”.

Però è anche vero che i crocieristi che arrivano a Palermo non si trovano davanti un bello spettacolo, dal momento che si ritrovano subito nel traffico…
“Un porto non significa solo merci e camion, ma anche altri elementi di ricchezza come i turisti che hanno bisogno di un’accoglienza adeguata: non tutti conoscono le bellezze della città, farle conoscere diventa fondamentale anche perché gli armatori sono alla ricerca di nuove mete. Basta prendere in considerazione un dato: per ogni merce abbiamo un moltiplicatore di ricchezza pari a tre, per ogni turista che arriva con una crociera il moltiplicatore arriva a nove, tre volte tanto”.

Come cambierà Palermo?
“Abbiamo un progetto da 14 milioni per la riqualificazione dell’area del porto, passando per il Foro Italico e il Castello a Mare fino a Sant’Erasmo: è un unico percorso, di grande impatto ma che va fatto conoscere. Immaginiamo che dal molo Piave al Sammuzzo, fino a Sant’Erasmo, si possa creare una grande area dedicata ai crocieristi che poi, attraversata la strada, si ritroverebbero Palazzo Butera, riaperto dai Valsecchi, che diventa così la porta della città. Intanto siamo partiti da Sant’Erasmo, poi insieme al Comune ci preoccuperemo del Foro Italico per capire se serve un aiuto per la manutenzione ordinaria”.

Quanti soldi ci sono per riqualificare il porto del capoluogo?
“Abbiamo già investito 20 milioni di euro e a breve firmeremo la convenzione per il dragaggio, che è strettamente connesso a quello di Termini Imerese dove servono anche il molo di sopraflutto e sottoflutto per un totale di 130 milioni, mentre abbiamo opere già attivate per 60. E il 20 luglio, a Villa Igea, proclameremo anche il vincitore del concorso di idee”.

Com’è stato l’impatto con la politica siciliana?
“Io non faccio il politico, ma ho potuto notare come il Comune e la Regione, che pure sono di colori politici diversi, riescano a collaborare avendo un unico obiettivo. In questi mesi ho riscontrato la straordinaria disponibilità dell’assessore regionale all’Economia, Gaetano Armao, con cui stiamo ragionando di progetti esecutivi da finanziare con il Patto per il Sud, ma ho conosciuto subito il sindaco Orlando, i primi cittadini di Termini e Porto Empedocle e qualche settimana fa quello di Trapani: con tutti lavoro in grande sintonia. Sono arrivato in un momento in cui si sente il bisogno di cambiamento, una cosa avvertita dai siciliani e da chi ha ruoli istituzionali: solitamente è la città a essere inadeguata rispetto al porto, in questi casi è il contrario. Del resto i giovani scappano dall’Italia e in particolar modo dalla Sicilia, abbiamo un elemento demografico che non può essere sottovalutato se guardiamo ai prossimi 20 o 30 anni: se c’è un mercato di consumo, arrivano merci e lavoro; se il mercato si riduce, diminuiscono anche i livello occupazionali. Ecco perché dobbiamo ragionare in prospettiva. Poi, certo, quando si arriva da fuori è più facile: non conoscendo nessuno ho meno refluenze che comunque, anche se ci fossero, sbatterebbero contro un muro”.

E sugli altri porti?
“Intanto stiamo affrontando il tema dei Piani regolatori di Trapani e Porto Empedocle, che invece c’è a Termini e che si è sbloccato a Palermo superando il contenzioso con un protocollo d’intesa, che tendeva a far capire che c’è la volontà di condividere le scelte con chi è eletto dal popolo e non nominato, come il sottoscritto. A Termini ho trovato una comunità che vuole far crescere il proprio scalo: facciamolo diventare un porto, partendo dai fondali, e poi facciamolo dialogare con l’interporto, perché è una follia vederlo ridotto in quello stato. In questo modo avremo un’offerta aggregata per il mercato. A Porto Empedocle c’è un’archeologia industriale che un po’ spaventa, bisogna migliorare la condizione attuale, ma a due passi ci sono la Valle dei Templi e la Scala dei Turchi, è una porta d’accesso a luoghi meravigliosi. Con un armatore abbiamo fatto arrivare una nave con 600 crocieristi, senza avvisare nessuno: la città ha reagito benissimo, ma bisogna mettere a regime il tutto lavorando sui fondali e sulle strutture ricettive. Per anni non si è fatto nulla, ora bisogna correre. A Trapani invece c’è un Piano regolatore del 1968, con il sindaco Tranchida lavoriamo sin dal suo insediamento per la definizione del nuovo piano. Qui c’è una cultura del mare e della portualità molto radicata, più che a Palermo. La Sicilia occidentale è un’offerta unica per i crocieristi, con le debite proporzioni ovviamente: prima Palermo e Trapani, poi Termini Imerese e Porto Empedocle”.

Qual è l’obiettivo che vi siete prefissati?
“Un milione di crocieristi l’anno. Palermo e la Sicilia sono al centro del Mediterraneo, ma oggi si vendono le crociere del 2021 o del 2022; nel Mediterraneo si stanno costruendo 13 navi, ma già sappiamo che nelle rotte previste noi non ci siamo. Ho parlato con Royal, ho proposto loro Palermo e sapete cosa mi hanno risposto? Che non hanno motivi per venire: le navi non entrano in porto, i turisti sbarcavano sotto i silos, non ci sono servizi. A Civitavecchia siamo passati in 14 anni da 200 mila persone a 2,6 milioni, quindi l’obiettivo è alla nostra portata”.

A Palermo ci sono anche i cantieri navali, su cui qualche giorno fa si è tenuta una tavola rotonda organizzata dalla Cgil…
“Il porto è un’unica industria regolamentata in un mercato chiuso e rappresenta la filiera: la nave da crociera viene costruita in porto, va in mare e arriva nei porti dove si erogano servizi. Fincantieri si è detta disponibile a mantenere i livello occupazionali e le lavorazioni, ma ha bisogno di un bacino adeguato e per il quale servono 85 milioni che deve mettere lo Stato, visto che il bacino è pubblico. Ma per chiedere 85 milioni, devo far capire al Ministero a cosa mi servono. Per questo è stato convocato un tavolo. Però una cosa posso garantirla: quando mi metto in testa una cosa, non ho paura di niente e di nessuno. Con me i tempi morti non esistono”.

Lei ha anche ricevuto una busta con due proiettili, segno che il suo lavoro sta dando fastidio a qualcuno…
“Io vado avanti. Certo, non è stato per niente piacevole ma quando hai con te le istituzioni puoi sentirti tranquillo e procedere con maggiore determinazione. Se un giorno dovessi capire che le istituzioni si girano dall’altra parte, andrei via”.


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