Zoppicando con la Santuzza

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15 Luglio 2010, 01:50

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La peste e la luce. L’abbiamo scritto sempre, dalla prima volta. Ma non c’è altro da scrivere. Non ci sono storie diverse da raccontare sul Cassaro nella sera del Festino. C’è da attraversare Palermo, nel suo cuore. C’è da ricongiungersi a lei. Zoppicando.
Ammonisce con garbo un amico, un maestro professionale celato da un nick e lettore di Livesicilia: chi zoppica racconti di sé, del suo passo malfermo, delle sue rade occhiate nelle vetrine.  Non scriva “noi”. Benissimo. Io, allora. Palermitano alla soglia dei quarant’anni. Io, pronome personale, con un corpo da trascinare dentro l’anima densa di Palermo, un corpo da tirare fuori dalla mischia. Io che osservo altri palermitani come me, assiepati sul corso al passaggio del carro. E mi viene da piangere senza nemmeno vergogna. Perché mai li ho visti così bambini, così fragili, indifesi e speranzosi. Mai li ho visti così vivi.

Del carro so tutto. Mi sono informato, è il mio mestiere. So che la statua è di resina, non di vetro. Si dovesse fare male qualcuno… poi saranno altri mille anni di guai per dispetto della fanciulla santa addormentata sul monte. So che questo Festino l’hanno descritto già prima: povero, misero, spoglio. Perdonali, o Santa, perché non sanno che il Festino non si scioglie nell’incedere cigolante del carrozzone. Quella è una messinscena che attira il vero spettacolo: le facce panormitane illuminate da qualcosa di indefinibile. Le facce dei vecchi, campo di battaglia tra rughe e luce. La faccia del bambino che suona il tamburo, appena intagliata nella sue luce giovane. Le facce delle persone sui balconi, luce di gerani e di commozioni. La nobile e antica stirpe dei balconi… Anche io avevo un balcone per guardare i fuochi una volta e sopra c’era una carovana di persone amabili tra i gerani. Passeggio in corso Vittorio per ritrovarli tutti, nel viso e nel balcone degli altri.

Io, al guado di peste e luce. Noi – perdoni l’amico lettore – perché in questo passaggio di carro e di vento c’è ognuno. Lo senti sulla strada. Senti il respiro di Palermo. Rauco, affannoso, col fischio. Vivo. Palermo respira ancora. Viva Palermo e Santa Rosalia! E’ una notizia splendida e inaspettata, anche se un sindaco imbelle ha annunciato per tempo che non salirà lassù per gridare la voce stentorea della nostra speranza. Un sindaco così si è già dimesso da palermitano, a prescindere dalle dimissioni.

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Peste e luce, no non c’è altro. Entrambe necessarie, entrambe causa ed effetto dell’altra. Liberaci dalla peste? Non per sempre, Santuzza. Abbiamo bisogno della malattia che precede la medicina. Abbiamo bisogno di cadere per risollevarci.  Abbiamo bisogno di te, così giovane ed eternamente ragazzina, in mezzo a noi così carichi di crucci e di anni. Sfila il carro, povero e dignitoso. Sfilano altre facce. La gente è accorsa comunque.  Ecco i lineamenti contorti di un’altra fanciulla, stavolta in carne, pena ed ossa. Tutti i giornalisti di Palermo, a turno,  hanno scritto di lei, dei suoi viaggi in America per la salvezza. Ed eccola, il corpo ridotto a un nodo inestricabile, mentre la madre “ammutta” la carrozzina. Trovi la peste, ma la luce dov’è? Ecco Carmine Mancuso, bambino orlandiano invecchiato di primavere appassite dentro un autunno precoce. Ecco i senza casa che protestano a piazza Pretoria. Tony Pellicane, il leader ha sempre lo stesso sudore rivoluzionario: “Ma il sindaco dov’è? Perché non è qua con noi?”.

Però c’è tutto il resto. E il carro lo illumina e lo guarisce col suo paziente chiarore, con la benedizione delle sue ruote, della sua carità senza rimorsi. Passa il carro, Palermo piange e ride. Si trasfigura. Palermo zoppica nella sera, accanto alla sua Santuzza, felice di esserci. E quella bellezza che invita laggiù in fondo che cos’è? E’ un sogno o è davvero il mare?

(La foto d’archivio si riferisce a una edizione passata)

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15 Luglio 2010, 01:50

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