CATANIA – Ventotto anni per omicidio. Un anno e 6 mesi per occultamento di cadavere. Altri 6 mesi per simulazione di reato. Tre condanne che sommate fanno 30 anni di reclusione. La freddezza dei numeri spiega così, ma solo in parte, con una sorta di triste calcolo matematico, il senso della condanna inflitta alla mamma assassina della piccola Elena Del Pozzo.
La Corte d’assise di Catania ha depositato le motivazioni della sentenza a carico della 25enne Martina Patti, un documento di 107 pagine. La sentenza è stata inflitta dalla giuria presieduta da Sebastiano Mignemi, che ha accolto le richieste dei pm Fabio Scavone e Assunta Musella.
L’assassina
La donna, come noto, ha ammesso le proprie colpe poche ore dopo l’assassinio. Dopo ore di interrogatorio serrato in caserma, dove aver tentato invano di convincere i carabinieri che la bimba era stata vittima di un rapimento, crollò, accompagnando i militari nel luogo dove aveva seppellito sua figlia.
Un delitto efferato. La bimba fu uccisa con un’arma da taglio. I giudici hanno riconosciuto all’imputata le attenuanti, ritenendole equivalenti alle aggravanti. Le attenuanti concesse sarebbero appunto la “confessione”; e la “giovane età” dell’imputata. L’aggravante, la premeditazione.
Il ricorso
Martina Patti è difesa dagli avvocati Tommaso Tamburino e Gabriele Celesti. Difensori che adesso stanno già lavorando al ricorso in appello. Del resto i legali lo avevano già annunciato a caldo, dopo la lettura del dispositivo della sentenza.
“Faremo appello in cui sosterremo l’incapacità parziale o totale di mente della nostra cliente – avevano dichiarato a caldo -. Di fatto prendiamo atto di un aspetto positivo, che non c’è stato l’ergastolo, cosa che da più parti pronosticavano. Il giudizio di equivalenza delle attenuanti con l’aggravante è una base da cui partire”.
La ricostruzione
Elena fu uccisa nel luogo del rinvenimento, un campo abbandonato vicino casa. Poi sua madre finse il sequestro della bambina all’uscita dall’asilo. Alla fine arrivò la confessione, ma Martina Patti non ha mai fornito particolari spiegazioni sul movente.
Una delle piste battute dai carabinieri del comando provinciale di Catania è stata la gelosia nei confronti dell’ex compagno e padre di Elena, il giovane Alessandro Del Pozzo, 24 anni.
La famiglia del papà
Il ragazzo ha seguito il processo con compostezza. E in un’udienza del processo ha deposto, raccontando il dramma vissuto da un padre a cui è stato tolto il bene più prezioso. Ha risposto alle domande dei pm e anche del legale.
“Ho detto a Elena: “La tua mamma e il tuo papà ti vogliono sempre bene. Anche se tuo papà sta con un’altra donna e tua mamma sta con un altro uomo, ti vorranno sempre bene. Lei mi ha abbracciato e mi ha fatto un sorriso, dicendo va bene”.
La mamma di Alessandro, Rosaria Testa, nonna della piccola Elena, a caldo si limitò a chiedersi come fosse possibile dare 30 anni di carcere a chi si è macchiato di un delitto così efferato, così assurdo, una morte inspiegabile. Ieri sera, contattata telefonicamente, ha detto che la famiglia non ha ancora letto le motivazioni. E si è riservata di commentare all’esito della lettura.