Opera dei pupi a Catania: tradizione, innovazione e differenze con Palermo

Opera dei pupi a Catania, l’amore per la tradizione e la forza di rinnovarla

La storia di una famiglia di pupari da quattro generazioni e il confronto coi pupi palermitani (Foto: Fratelli Napoli)

“Per Natale Napoli che mosse da mago i fili dei nostri sogni, la città di Catania, con gratitudine a dieci anni dalla scomparsa”. Basta forse questa lapide del 1994 per indicare la centralità che abbia l’Opera dei pupi a Catania. Lo si capisce ancora di più entrando nella bottega dei Fratelli Napoli e immergendosi nella storia di questa famiglia di pupari da quattro generazioni. “Qui – raccontano i Napoli – accadeva che per mesi, sera per sera, anche per sei mesi come nel caso di Orlando, la gente si recasse a teatro dopo il lavoro per seguire la storia dei paladini di Francia. Allo stesso modo in cui oggi noi ci sediamo sul divano per non perdere la puntata di una serie”.

A teatro poi si compiva il miracolo che da sempre realizzano le scene: la catarsi. La gente si immedesimava nei paladini. Trasponeva i suoi sentimenti nella storia e interagiva con la scelta. Accadeva così che a tutti i visitatori i Napoli mostrassero il volto ligneo tumefatto di Gano di Magonza, il traditore dei paladini nella Chanson de Roland. Il pupo è l’unico a essere stato più volte rimaneggiato e presenta dei pezzi di cuoio. Il perché? Il pubblico, in odio al suo gesto vile, si alzava dalla sedia e non potendo cambiare la storia lo picchiava.

Opera dei pupi, artigianato Fratelli Napoli
Foto di proprietà dei Fratelli Napoli

L’opera dei pupi è famiglia

A Catania l’Opera dei pupi è questo e tanto altro. Tutto è finalizzato alla scena, ma prima della scena c’è l’artigianato e prima ancora c’è la lunga storia familiare dei Napoli. Nel 1921 Gaetano Napoli inaugura il Teatro Etna in via Cantone, a Cibali. Da allora e fino al 1973 la famiglia Napoli svolge un’intensa attività nei teatri popolari di quartiere. Si lavora rifacendosi al mestiere storico, coi pupi alti 1 metro e 30 e pesanti fino a 35 chili.

Vengono così messe in scena, a puntate cicliche serali, tutte le storie del repertorio catanese. Le rappresentazioni del ciclo, indirizzate a un pubblico “iniziato”, che già conosce in anticipo personaggi e intrecci, hanno la funzione di una vera e propria liturgia. Nel corso di questi anni il mestiere viene continuamente arricchito di pupi, scene e cartelli. Parallelamente, regole e tecniche di messinscena vengono acquisite e affinate, nelle rispettive specializzazioni, dai figli di Gaetano: Pippo, Rosario e Natale Napoli. Questo patrimonio di competenze viene successivamente trasmesso a Fiorenzo, Giuseppe, Salvatore e Gaetano, figli di Natale e Italia Chiesa Napoli.

Opera dei pupi
Foto di proprietà dei Fratelli Napoli

I teatri si svuotano, l’opera dei pupi si evolve

Dal 1973 la famiglia Napoli, pur mantenendosi fedele ai codici e alle regole di messinscena della tradizione, lavora per adattare l’Opira catanese alle esigenze di un pubblico nuovo. Infatti, negli anni Sessanta e Settanta del Novecento, il pubblico popolare dell’Opera dei pupi cominciò a disertare i teatri. Finiva l’epoca delle puntate serali. Bisognava fare breccia in un pubblico non popolare, in persone non “iniziate” che poco sapevano degli intrecci delle storie cavalleresche. Si presentarono due esigenze: rimodulare i copioni per garantire un’unità narrativa che si esaurisse in un solo spettacolo, ma anche poter portare l’Opera dei pupi in spazi più piccoli come le palestre e i teatrini scolastici, le sale parrocchiali, le sale conferenze di circoli e sodalizi culturali.

Fu così che Natale Napoli, facendo propri i suggerimenti di Nino Amico, escogitò nel 1973 l’idea dei “pupi piccoli” da 80 centimetri: ridotti nelle dimensioni, consentirono alla tradizione catanese di confrontarsi con un numero ben maggiore di pubblici di quanto avrebbero permesso i “pupi grandi”. ​I pupi piccoli segnarono un vero e proprio passaggio epocale: mantenendo assolutamente intatti codici, regole e tecniche della messinscena tradizionale, assicurarono la possibilità di far affezionare all’Opira catanese un nuovo pubblico, composto da giovani in età scolare, studenti universitari, professionisti, borghesi e uomini di cultura. Alla morte del padre Natale, Fiorenzo diventa direttore artistico della compagnia e i suoi figli Davide, Dario e Marco Napoli apprendono anch’essi le regole di mestiere, assicurando la continuità della tradizione catanese dell’Opera dei Pupi.

Opera dei pupi e artigianato

Quella dei Napoli è una storia di artisti ma, come si è visto, anche di artigiani. Ancora oggi al teatro è connessa la bottega del puparo. Dietro le spalle di Castello Ursino, nella città etnea, nascono ancora i pupi che poi andranno in scena. Ed è sempre lì che vengono tramandati di generazione in generazione i “saperi della mano” e le regole di mestiere che consentono la realizzazione di tutti gli oggetti di artigianato artistico legati alla tradizione dell’Opera dei pupi catanese.

Opera dei pupi, artigianato Fratelli Napoli
Foto di proprietà dei Fratelli Napoli

Fare un pupo non richiede una sola competenza. Occorre intagliare il legno della struttura, saper dipingere la testa, lavorare sartorialmente i costumi e sbalzare il metallo per realizzare l’armatura. È un’arte che nella famiglia Napoli si tramanda da più generazioni. Pippo Napoli aveva appreso fondamenti e tecniche di questa particolare forma di artigianato dagli antichi maestri ramaioli che nei primi decenni del Novecento sbalzavano le armature dei pupi da teatro. Di questi pupi ormai secolari, l’unico mestiere rimasto integro e completo è oggi custodito gelosamente dalla famiglia Napoli. Fiorenzo ha appreso dallo zio Pippo le regole dell’arte e le ha ulteriormente perfezionate attraverso una ricerca personalissima, che gli ha consentito di abbinare raffinate lavorazioni di oreficeria alle tradizionali tecniche di sbalzo con palo e puntiddi.

Opera dei pupi, artigianato Fratelli Napoli
Foto di proprietà dei Fratelli Napoli

Questo patrimonio di conoscenze è stato raccolto da Davide Napoli, che oggi, insieme a suo padre Fiorenzo, costruisce le armature. Collaborano in bottega anche Alessandro Napoli per l’imbottitura e la foderatura dei busti e Agnese Torrisi Napoli per la realizzazione dei costumi.

Pupi catanesi e palermitani a confronto

E se dietro all’Opera dei pupi catanese c’è una storia di artigiani, c’è anche da chiedersi quale sia la differenza con i pupi palermitani. Le differenze ci sono e sono anche parecchie. Riguardano dimensioni, peso, caratteristiche meccaniche, sistemi di manovra, spazi scenici e concezioni teatrali.

Struttura fisica e mobilità

Il pupo tradizionale catanese è un po’ più grande di quello palermitano. Mentre quest’ultimo non supera il metro di altezza, quello etneo si spinge fino a un metro e trenta. A Palermo un pupo pesa 8 chili, a Catania 35. All’ombra dell’Etna le strutture sono foderate e imbottite, mentre non è così nel capoluogo. Il pupo palermitano ha uno snodo al ginocchio che gli permette di inginocchiarsi ma la gamba non può muoversi all’indietro. La marionetta catanese invece ha le gambe rigide, senza snodo al ginocchio, ma può andare all’indietro. Il pupo catanese impugna quasi sempre la spada nella mano destra, mentre in quello palermitano la spada si può sguainare e riporre nel fodero.

Opera dei pupi, artigianato Fratelli Napoli
Foto di proprietà dei Fratelli Napoli

Manovrabilità e spazi

E poi ci sono le differenze sceniche. Il sistema di manovra palermitano è dai lati, a braccia tese: i manovratori sono posizionati dietro le quinte laterali del palcoscenico e poggiano i piedi sullo stesso piano di calpestio dei pupi. Non è così a Catania, dove l’animazione avviene dall’alto di un ponte posto dietro i fondali (‘u scannappoggiu): i manianti, cioè gli animatori, sorreggono i pupi poggiando i piedi su una spessa tavola di legno sospesa a circa un metro da terra (‘a faddacca). Questo determina anche differenze nella scena. Più larga e meno profonda a Catania, più profonda e meno larga a Palermo.

Interpreti

Infine ci sono le voci e la concezione teatrale. Quella palermitana è più stilizzata mentre quella etnea è più tragica, sentimentale e realistica. Forse determinante in tal senso è la presenza, nell’Opera dei pupi catanese, della voce femminile che non viene simulata da un uomo come accade a Palermo. D’altronde lo spazio scenico diverso fa sì che ci siano differenze anche in chi declama la scena. È lo stesso puparo nell’Opera palermitana, mentre in quella catanese sono u parraturi e a parratrici, due interpreti che parlano a fianco della scena mentre gli animatori muovono dall’alto i fili della storia.

Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI