CATANIA – La vertenza Aligrup, la società siciliana che gestisce i supermercati a marchio Despar, naviga in acque agitate. Stamattina un migliaio di dipendenti si è radunato davanti alla prefettura etnea (leggi la cronaca della manifestazione). E per il prossimo 18 ottobre è già previsto un secondo incontro col prefetto di Palermo. I 1600 lavoratori del gruppo chiedono infatti maggiori certezze sul futuro. Richiesta resa ancora più pressante dal passo indietro fatto da Coop che avrebbe dovuto acquisire il 70 per cento dei punti vendita.
In particolare, secondo quanto si legge in una nota diffusa da Coop Adriatica e Coop Consumatori Nordest “il 12 settembre scorso è stato comunicato ad Aligrup e al custode giudiziario che non sussistevano le condizioni per prorogare ulteriormente le trattative per l’acquisizione del ramo d’azienda della società. Il negoziato per l’acquisizione di parte della rete di vendita Aligrup infatti era stato condotto sulla base di due lettere di intenti, sottoscritte rispettivamente il 2 maggio e – dopo che la prima era scaduta – il 2 agosto scorso: sin dall’origine, entrambe le lettere di intenti condizionavano l’acquisizione da parte delle Cooperative a una precisa serie di normali presupposti contrattuali che dovevano verificarsi, da ultimo, entro il 10 settembre 2012, e che invece erano a quella data ancora in larga parte disattesi”.
Un ritardo che ha finito col compromettere l’esito dell’intera operazione. “Già al 12 settembre, dunque – prosegue la nota – non vi erano elementi concreti sufficienti a proseguire nel negoziato con prospettive realistiche. Proprio per evitare di trascinare inutilmente la trattativa Coop Adriatica e Coop Consumatori Nordest hanno ritenuto responsabilmente di non poterne accettare una ulteriore proroga. Tra marzo e settembre Coop Adriatica e Coop Consumatori Nordest hanno profuso il massimo impegno per arrivare a un accordo in tempo utile, accettando anche di prendere in considerazione configurazioni dell’operazione che comportavano l’assunzione di notevoli rischi imprenditoriali e di un importante sforzo finanziario, con l’obiettivo di salvaguardare un’importante impresa del territorio e dunque molti posti di lavoro, la rete dell’indotto e dei fornitori. Purtroppo, sono venuti invece a mancare i presupposti minimi di fattibilità per una possibile acquisizione”.
Intanto, gli scaffali vuoti, le vendite in picchiata e un accumulo di debiti che oggi sfiora i 150 milioni di euro aumentano le preoccupazioni di dipendenti e sindacati. “Il tempo passa e i progressi fatti sono molto pochi – spiega Rosario Nicolosi, sindacalista della Uiltucs -, da sei mesi aspettiamo risposte certe da parte dei manager della nostra azienda. Finora ci sono stati solo accordi verbali e niente di scritto”. “Si sono stabiliti degli incontri con i prefetti delle singole province coinvolte”, spiega Mimma Calabrò (nella foto) segretario di Fisascat Cisl. Che, in merito alla possibile chiusura delle aziende in zone sensibili, come quella di Termini Imerese, afferma: “ I lavoratori di Termini sono già in un territorio disastrato e bisogna fare un ragionamento più specifico per questi 13 lavoratori. Il nostro obbiettivo rimane sempre quello di difendere tutti i livelli occupazionali”.