PALERMO – L’allerta terrorismo in Sicilia è scattata da tempo. Ancor prima che i nostri connazionali scappassero dalla Libia e dall’Isis che ha piazzato nel paese nordafricano, nostro dirimpettaio, un avamposto del ‘Califfato’. L’avanzata dei terroristi adesso preoccupa il governo nazionale. Un attacco nel nostro territorio è qualcosa di più di uno spettro, ma un rischio. Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ritiene quella della diplomazia l’unica strada percorribile. Bisogna, a suo dire, incentivare “i negoziati fra le fazioni in Libia” nell’ottica di arrivare “ad un governo che possa dirsi di unità nazionale” senza il quale in Libia “non può decollare una missione delle Nazioni Unite”. Parole che fanno il paio con quelle di Stati Uniti e di altri Paesi europei, la Francia su tutti, d’accordo nel rifiutare un’operazione militare. Ieri si è riunito il Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica al Viminale, presieduto dal ministro dell’Interno Angelino Alfano. Sul piatto anche la possibilità di impiegare 4800 militari per presidiare gli obiettivi sensibili del nostro territorio.
In anticipo rispetto alla politica nazionale – il tema non è all’ordine del giorno di quella regionale – si è mossa la magistratura di casa nostra. La Procura di Palermo ha creato mesi fa un pool di magistrati per occuparsi di terrorismo. Un motivo deve esserci. Anzi, più di un motivo: sono le informazioni dei Servizi segreti, le voci delle fonti confidenziali e i racconti di alcuni disperati sbarcati nelle carrette del mare ad avere suggerito l’opportunità di avviare un’attività di prevenzione.
La prevenzione, infatti, per stessa ammissione di chi indaga, è l’unica attività possibile di contrasto al fanatismo che sfocia nella violenza. Da qui la necessità di monitorare alcuni gruppi di libici, siriani e tunisini che negli ultimi tempi sono stati localizzati a Palermo. Alcuni abitano stabilmente in città, altri vi hanno fatto solo tappa per spostarsi altrove. Nel contempo l’intelligence si è attivata anche a Ragusa e Catania dopo avere raccolto i segnali di una simpatia sospetta per la “guerra santa, la jihad”. Nel fascicolo dei pm siciliani sono finite le foto scattate con i cellulari che ritraggono uomini armati fino ai denti, bandiere nere e campi di addestramento.
Non è un’operazione di facciata quella della magistratura palermitana. E lo dimostra anche e soprattutto il numero dei pm impegnati. Del il pool anti terrorismo fanno parte il procuratore aggiunto Leonardo Agueci e i sostituti Calogero Ferrara, Emanuele Ravaglioli e Sergio Barbiera, sotto la direzione del procuratore Franco Lo Voi. Le indagini, per lo più delegate ai poliziotti della Digos, muovono dalla convinzione che in Sicilia siano arrivati soggetti già legati alle frange armate che operano nel Maghreb.
I simpatizzanti del terrorismo potrebbero essere arrivati nell’Isola mescolandosi tra i disperati che hanno preso e prendono d’assalto – nel 2014 sono stati 160 mila – le nostre coste. Ma tra l’intelligence e le forze di polizia finora è sembrata prevalere una posizione scettica: se qualcuno intende arrivare in Italia per compiere attentati – è sempre stato il ragionamento – viaggerà in modo più sicuro rispetto alle rischiose traversate su imbarcazioni di fortuna. Nel frattempo, però, sono spuntati alcuni strani contatti, tutti da decifrare, fra personaggi sospetti che utilizzerebbero le nuove tecnologie per comunicare. Ci si concentra su alcuni gruppi religiosi che si sono costituiti a Palermo e provincia per scongiurare il pericolo che dietro le legittima esigenza religiosa e di comunità si celi il fanatismo che sfocia nell’odio.
In ballo ci sono anche ipotesi investigative estreme. Ad esempio, l’esistenza da qualche parte in Sicilia di un campo di addestramento per aspiranti jihadisti. Solo ipotesi. C’è un precedente preoccupante, però. Nel 2011 sbarcò a Lampedusa Ibrahim Harum, 42 anni, cittadino del Niger, considerato appartenente alla rete terroristica di Al Qaeda. Oggi è in corso un processo a suo carico davanti alla corte d’assise di Agrigento. Viene accusato di avere partecipato ad attentati terroristici in Niger, Pakistan e America. La polizia lo aveva identificato attraverso i racconti dei suoi compagni di viaggio, secondo cui durante la traversata Harun sosteneva di appartenere ad Al Qaeda. Dopo l’arresto fu consegnato all’Fbi e trasferito negli Stati Uniti.
Che i magistrati facciano sul serio lo ha dimostrato il giro di perquisizioni eseguito a fine gennaio e culminato nel fermo di Giacomo Piran, un palermitano di 44 anni. Gli viene contestata l’accusa di detenzione illegale di munizioni da guerra. Ma c’è il sospetto, solo il sospetto, di una possibile simpatia per l’estremismo islamico. I poliziotti della Digos hanno “visitato” una quarantina di siti fra Palermo, Agrigento e Trapani.
Piran si è convertito da tempo all’Islam. Nel suo appartamento sono state trovate munizioni calibro 7.62 di quelle in dotazione alla Nato, e alcuni manuali sull’utilizzo delle armi di quelli facilmente trovabili in commercio. L’uomo con trascorsi nelle forze armate e precedenti penali per lesioni, viene descritto come particolarmente severo nel rispettare e nel fare rispettare ai suoi familiari le regole islamiche. Ai raggi X vengono passati alcuni suoi contatti con personaggi transitati dalla Sicilia verso i paesi arabi, dove potrebbero essere stati assoldati dai gruppi terroristici.
Come se non bastasse, nei giorni scorsi, una presunta mappa della paura ha iniziato a circolare su internet. Descriveva il proposito di attaccare l’Europa, l’Italia e la Sicilia utilizzando dei missili. Una sorta di documento programmatico dell’Isis. Gli analisti hanno attribuito alla faccenda un fine “propagandistico” per cercare di reclutare nuovi adepti da arruolare nei campi di addestramento.