Nella leggenda di Colapesce la Sicilia si reggeva su tre colonne, per salvarla dal crollo l’uomo pesce si immolava per reggere uno di questi pilastri oramai corroso da profonde crepe.
Nella storia attuale della Sicilia la nostra isola regge, meno romanticamente e poeticamente, grazie ad un artificio contabile. Un azzardo pericoloso chiamato tecnicamente “accantonamento negativo” ma che, sostanzialmente, significa inserire in bilancio soldi- ad ora- validi e reali quanto quelli del monopoli. Sperando che si trasformino in somme reali grazie alla misericordia del governo nazionale.
Una colonna decisamente meno robusta di quella di cola pesce. Troppo poco per sperare di svoltare pagina e di cominciare ad edificare una nuova Sicilia. E sullo sfondo gli effetti dell’autonomia differenziata- il cui tema fa capolino nella lunga notte della finanziaria solo dopo le 2 ed in modo abbastanza surreale tra grani antichi e bignamini di storia post unitaria- che ancora devono mostrarsi in tutti i possibili risvolti negativi ma che di certo significheranno meno risorse per il sud e la Sicilia.
Appurato che questa finanziaria, e questo governo, non pare avere lo stesso valore salvifico di Colapesce, del nostro eroe possiede al massimo una eccellente capacità di galleggiamento, resta da capire su cosa provare a sostenere la nostra Isola prima dello sprofondo. E qui qualche nota lieta la si trova.
Una rete, non ancora collegata, che si estende da Augusta alla provincia di Enna, dalle Madonie alle spiagge dell’agrigentino. Un modo nuovo e diverso di essere Sicilia che senza organizzazione ma con il semplice e antico strumento del passaparola si riunisce sui moli di Catania e Siracusa. Che fa fiorire comitati contro l’inquinamento e la violenza subita dal territorio a Catenanuova, Termini, Terrasini e nella valle del Mela. Che crea spazi di socialità a Ballarò e a Librino.
In questa rete sta nascendo una classe dirigente nuova. Che spesso non trova spazio nel dibattito politico regionale ma non pare nemmeno soffrirne troppo. Una dimensione meno ideologica dell’impegno e molto concreta. Capace in molte occasioni di mettere in crisi le scelte dei governi locali e regionali in battaglie politiche aspre e combattute con fantasia e una dose di allegria, elementi quasi del tutto assenti nei palazzi della politica regionale.
Certo non mancano le contraddizioni, così come gli insuccessi. Eppure in una regione disastrata nei conti e nelle reti di trasporto questa rete appare un tesoro inestimabile e una speranza concreta. Un qualsiasi modello alternativo di regione non può non partire da li, da questa linfa che esiste fuori da tatticismi e formule chimiche della politica. Resta il punto di comprendere come immettere tutto questo nel corpo abbastanza marcescente di una Sicilia con gli enti in dissesto o predissesto, con migliaia di famiglie sotto i livelli di povertà, con altre migliaia di siciliani che sopravvivono tramite i trasferimenti e gli ammortizzatori sociali che ancora- Roma permettendo- la Regione riesce a garantire. Una sfida complessa che andrebbe affrontata già adesso e non, come da classico manuale, a qualche mese da una scadenza elettorale.
Ma, dopo la notte della finanziaria, mi pare enormemente più reale e affidabile di un pilastro composto da mazzi di banconote del Monopoli