PALERMO – Diciamocela tutta, e con estrema sintesi. Roberto De Zerbi non era l’allenatore giusto per questo Palermo. Probabilmente non è e non sarebbe mai stato l’allenatore giusto per il Palermo, nè per quello attuale nè per nessun’altra versione della formazione rosanero. E c’è da essere quasi certi che Roberto De Zerbi non è l’allenatore giusto per la piazza di Palermo, più che per la società o per la squadra in sè. Una piazza che pur in un lasso di tempo nemmeno così lungo – parliamo pur sempre di quattordici anni – è stata abituata a due categorie di allenatori. Da una parte quelli capaci di sfruttare delle rose costruite in maniera oculata, bilanciata e al tempo stesso con dei picchi di talento che raramente si trovano in giro. Dall’altra parte quelli che hanno puntato su un diktat, quello di “fare risultato, a qualunque costo”, mettendo al bando qualsiasi sprazzo di sogno, più o meno realizzabile, per dare spazio più che altro ad intenti più simili a quelli di un’azienda che a quelli di una squadra di calcio.
In un contesto del genere, Roberto De Zerbi non avrebbe una facile collocazione lungo tutti i vari stadi del Palermo calcio sotto il controllo di Maurizio Zamparini. Figuriamoci in una fase a dir poco critica del club di viale del Fante, in cui sembra quasi mancare la materia prima con cui costruire qualcosa di buono. Il tecnico bresciano è arrivato sotto una forma che non poteva portare qualcosa di buono. Un allenatore con un’idea di gioco ben collaudata e ben stabilita non avrebbe mai dovuto subentrare a settembre, con il campionato già iniziato, con la preparazione atletica già ultimata e, ultimo ma non ultimo, con il mercato già chiuso. Così, De Zerbi ha dovuto fare i conti con una rosa costruita per giocare in un determinato modo, avendo in testa ben altri metodi di lavoro e schemi di gioco.
Un gruppo allestito per giocare con il 3-5-2, per badare più al contenimento e alle veloci ripartenze che alla costruzione della manovra offensiva, affidato ad un tecnico che ha costruito l’inizio delle sue fortune sul 4-3-3, sul possesso palla e sul movimento frenetico di mezzeali ed esterni d’attacco. Come sarebbe stato possibile applicare una simile rivoluzione, specialmente in seno ad un gruppo che, prima di essere guidato da Ballardini alla quasi insperata della stagione precedente, era ingabbiata in un tema tattico molto rigido e poco incline allo spettacolo e alla fluidità come quello impostato negli ultimi due anni da Beppe Iachini? Soprattutto se, in seno alla squadra, il numero di difensori centrali è il doppio rispetto ai terzini, e la gran flotta delle mezzepunte è poco incline al gioco sulle fasce, ovvero quello prediletto dal giovane allenatore bresciano.
De Zerbi lascia da perdente, e non potrebbe essere altrimenti viste le sette sconfitte consecutive e lo scialbo pareggio, trasformatosi nella disfatta dagli undici metri contro lo Spezia. Maurizio Zamparini, che fino a poche ore fa lo difendeva pubblicamente e ribadiva di puntare su di lui, alla fine si è stancato e lo ha anche etichettato come ‘penoso’. Daniele Faggiano, che proprio prima dell’ultima recita di Roberto sulla panchina del Palermo sosteneva che il patron si era reso conto del legame tra il tecnico e la squadra, è stato miseramente smentito poche ore dopo dal suo patron. E proprio quando sembrava che “l’assicurazione sulla carriera” di De Zerbi potesse durare fino all’inizio del 2017, quando qualche intervento sul mercato poteva lenire le sue pene e consentirgli di dare al Palermo l’identità che sta provando a fornire fin dal suo primo giorno a Boccadifalco, ecco che arriva l’esonero, con tanto di colpe rifilate, come spesso accade dalle parti di Vergiate, a mezzo stampa.