CATANIA – Il pentito Giacomo Cosenza è stato condannato a cinque anni di reclusione. il reato contestato – pesantissimo per un collaboratore di giustizia – è calunnia nei confronti del sostituto commissario della Squadra Mobile Gaetano Buffo. La presidente della III sezione del Tribunale di Catania Rosa Alba Recupido ha letto, poco fa, il dispositivo di sentenza (con le contestuali motivazioni) all’aula numero 3 del Palazzo di Giustizia etneo. La pena è quella chiesta dal sostituto procuratore Santo Di Stefano che ha rappresentato l’accusa nel processo che è durato diversi anni. Anche a causa di molti rinvii dovuti anche alla pandemia.
Un dibattimento articolato e delicato che ha visto l’esame di poliziotti e investigatori per ricostruire una brutta pagina di storia giudiziaria catanese. E che risale all’autunno del 2013. Quasi dieci anni sono passati da quelle ‘poco ortodosse’ domande rivolte al collaboratore da parte di ufficiali della Dia su possibili uomini delle istituzioni collusi. Risposte che poi hanno fatto scattare l’indagine – come atto dovuto – nei confronti del poliziotto falsamente accusato da Cosenza. Inchiesta che poi è stata archiviata per la “macroscopica infondatezza”.
Al centro del processo – come ha ribadito anche il pm nella requisitoria – i due interrogatori che il collaboratore di giustizia rilascia davanti alla procura di Catania il 5 novembre e il 18 dicembre 2013. È in quei frangenti che si consuma il reato di calunnia nei confronti dell’investigatore della Mobile. Il collaboratore ha parlato “prima di un ispettore Tony con un soprannome”. Ma questo soprannome l’imputato in un primo momento non lo conosceva. Alle ripetute domande ha risposto “Tony u sbirru, tony a guardia”. Poi “magicamente” se lo ricorderà nell’interrogatorio del 18 dicembre. E solo in quell’occasione dirà “testa nica”.
Incongruenze, contraddizioni, anomalie sono state riscontrate nelle dichiarazioni di Cosenza. E sono queste che hanno portato la Procura a chiedere e ottenere il rinvio a giudizio nei confronti del collaboratore di giustizia. Inutili a questo punto sono state le ‘scuse’ di Cosenza a Buffo e le sue dichiarazioni in cui ha più volte detto nel dibattimento di non aver mai fatto il nome del poliziotto. Sono 73 le pagine che ‘motivano’ la sentenza da parte del Tribunale, che lo ha condannato anche al risarcimento del danno nei confronti del poliziotto e del Viminale che si sono costituiti parte civile. Stabilita una provvisionale di 6 mila euro per Gaetano Buffo, assistito dall’avvocato Michele Ragonese.
“È importante fare un plauso alla Procura di Catania – dice il penalista a LiveSicilia – che ha formulato le accuse nei confronti di un collaboratore di giustizia. Leggeremo attentamente le motivazioni per capire quali effetti potranno avere nell’altro procedimento penale a carico del poliziotto Filippo Faro, ufficiale della Dia, accusato di calunnia e falso”.