A pochi passi da Agira, in Sicilia – leggo da un post del M5S – c’è una novità: “Una discarica di rifiuti speciali dannosa quanto una radioattiva.” Una notizia, questa, finché ha retto tenuta nel più assoluto silenzio. Ed è la notizia di un qualcosa che significa una cosa sola: morte. Perché una discarica dove posare bidoni, fusti e contenitori zuppi di scorie e liquami velenosi è, infatti – per una comunità di donne, uomini e bimbi, quelli che si trovano a vivere nei pressi di Agira – solo morte.
Ed è come mettersi in petto, un cancro attivo. E’ un tumore di quelli che si prende la carne e c’è da impazzire all’idea che la burocrazia – dall’ufficio tecnico comunale che riceve la pratica, all’assessorato regionale che l’istruisce – abbia confidato nel silenzio assenso della catena di disbrigo dell’affaraccio. Qualcuno se n’è accorto, ha passato la documentazione agli attivisti Cinque Stelle e tutta Agira, tutta: anche quella che sta in Continente – gli emigrati in ogni dove – è scesa in campo per dire no.
Scrivo per urgenza personale, lo confesso da subito, perché Agira è il mio paese. E scrivo a maggior ragione perché se non fossi paesano non l’avrei mai saputa questa notizia. E invece voglio che si sappia a Roma, a Milano e ovunque arrivi il mio giornale affinché si frantumi il muro di silenzio accuratamente costruito dalla regione siciliana (nella responsabilità della giunta di Rosario Crocetta, sia chiaro, il nuovo presidente non sa ancora nulla di questa vicenda).
Scrivo perché già, per conto mio – quando ancora non si sapeva della discarica di Agira – nello sguardo di un medico, primario anatomopatologo, ho letto qualcosa di più di una perplessità: “Un fatto è un fatto”, mi diceva ancora a fine agosto, “la nostra è una zona rurale ma i fatti sono fatti: l’incidenza dei tumori che mi trovo a registrare è coerente con un contesto industriale, non certo agricolo…”. Figurarsi cos’altro può succedere se la istallano, la discarica. E scrivo perché quell’ombelico di Sicilia – quello che sta in centro, tutto grano, senza mare – è un gomitolo di miniere dismesse, come Pasquasia, o Faccia Lavata, e allora chissà di cosa sono piene se poi ad Assoro, a Leonforte, a Regalbuto vanno a verificarsi casi di patologie inspiegabili se poi non ci sono ciminiere, fabbriche o laboratori d’acqua pesante.
Scrivo per dare l’allarme, sì. Non è credibile che una società di privati, Agireco, con diecimila euro di capitale sociale, di cui ha versato solo 2.500 euro (quando per gestire materiale speciale, giusto per cominciare, ce ne vogliono dieci di milioni di euro…) possa reggere il vaglio di una verifica seria. E sono sicuro che Nello Musumeci, il nuovo presidente della Regione, prendendo visione del decreto, lo straccerà. E disporrà i controlli nelle aree minerarie dismesse.